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Il testamento spirituale di Georges Anawati, Profeta di pace in terra d’Egitto.

Ultimo Dialogo LibroEcco un piccolo volume che rappresenta un vero e proprio balsamo sulle ferite di chi soffre per il continuo soffiare sul fuoco degli epigoni dello “scontro di civiltà”. La casa editrice Oasis propone L’ultimo dialogo. La mia vita incontro all’Islam, una lunga intervista a padre Georges Anawati, frate domenicano, ricercatore e studioso, ma soprattutto

costruttore di ponti” tra il mondo musulmano e il mondo cristiano, precursore del dialogo islamo-cristiano, scomparso al Cairo nel 1994.

La lunga intervista, realizzata a più riprese, è stata condotta in arabo dai suoi amici musulmani Mahmoud Azab e Hoda Issa ed è stata pubblicata in Egitto nel 1998.

“Da lungo tempo il nome di p. Georges Anawati ci era noto come uno dei pilastri della cultura in Egitto e nel mondo arabo – scrivono gli autori nell’introduzione all’edizione araba – tuttavia la nostra conoscenza personale iniziò soltanto durante un convegno dell’Associazione filosofica egiziana tenutosi all’Università del Cairo nel giugno del 1990. Ben presto questa conoscenza si trasformò in un saldo legame a livello umano […]. Finimmo per andare a fargli visita nelle feste, desiderosi della sua semplicità, del suo buon umore, dell’allegria che faceva dimenticare l’età avanzata, carica di difficoltà e prove. Nel 1992 gli manifestammo il desiderio di pubblicare alcune delle nostre conversazioni, perché credevamo che esse fossero molto importanti dal punto di vista culturale e umano. […] A differenza di quanto temevamo all’inizio, non ci dovemmo sforzare molto per persuaderlo ad accettare la nostra proposta, convinto com’era della necessità di condividere un dialogo umano di ampia portata che toccasse in primo luogo l’uomo e quindi l’intellettuale in Egitto. Gli incontri si svilupparono numerosi per più di un anno e fino agli inizi del 1994, mentre cresceva l’affetto e l’intimità tra noi. Poi tacque, e il suo silenzio ci riempie di dolore”.

Preziose per apprezzare a fondo la testimonianza di Anawati sono l’introduzione di Jean-Jacques Pérennès, vicario provinciale dell’ordine domenicano per il mondo arabo, e la traduzione con il ricco corredo di note esplicative di Martin Diez, direttore di ricerca della Fondazione Internazionale Oasis e professore di lingua e letteratura araba nell’Università Cattolica di Milano.

Nato nel 1905 ad Alessandria d’Egitto in una famiglia cristiana ortodossa di origine siro-libanese, nel 1934 Anawati entrò nella provincia francese dell’ordine domenicano, in cui fu ordinato sacerdote nel 1939. Aveva studiato farmacia all’università, ma in seguito, incoraggiato dai superiori, studiò letteratura araba classica all’Università di Algeri, diventando uno specialista di filosofia araba medievale, la grande corrente filosofica che fece da collegamento tra l’eredità greca e il pensiero medievale. Ebbe anche un ruolo importante nel proporre posizioni innovative sul dialogo con i musulmani nel corso del Concilio Vaticano II.

I suoi interessi furono soprattutto filosofici e teologici e hanno avuto per oggetto i tesori della tradizione cristiana e di quella musulmana, studiate con la stessa dedizione e il medesimo impegno.

Lontano dalla freddezza che spesso accompagna gli studi accademici quanto dall’animosità che a volte muove gli appartenenti alla minoranze religiose, Anawati condivideva senza complessi con i musulmani l’appartenenza alla medesima cultura araba. Fu un cattolico arabo che conobbe l’islam da vicino e che si adoperò perché l’occidente cristiano e l’oriente musulmano potessero tentare di superare le antiche rivalità e aprirsi a una nuova era di rispetto e comprensione.

Non nascose‚ né minimizzò mai, le difficoltà, ma con altrettanta chiarezza cercò sempre e incoraggiò nei suoi interlocutori i segni di un’apertura e di un’evoluzione che pure esiste e si esprime, anche se con meno clamore di altre manifestazioni di ben diverso segno. Questa intervista ne è la prova lampante.



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