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Banche armate: il caso del credito bergamasco

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Questo episodio che ci raccontano due lettori, ex correntisti del Credito Bergamasco, è solo una piccola crepa nel gigante dai piedi d'argilla. E comunque una crepa.

Vorremmo informarvi della nostra vicenda riguardante la Campagna banche armate.

Clienti del Credito Bergamasco da circa 6 anni, da tempo avevamo maturato la decisione, per una questione di coerenza di scelte di vita e di "risparmio critico", di spostare il nostro conto corrente su Banca Etica. Ci frenava un contratto di assicurazione sulla vita truffaldino che scadeva proprio quest'anno e, sicuramente, anche un certo timore ad abbandonare il circuito tradizionale per passare ad una Banca pressoché virtuale, senza sportelli, senza assegni, tutta telematica.

D'altra parte la nostra coscienza era tranquillizzata dal fatto che, sui rapporti annuali pubblicati dalle vostre riviste e circolanti su Internet, la nostra Banca non compariva nella lista delle "cattive" (sapevamo che c'erano state in passato alcune commesse, ma non più da quando era stata lanciata la Campagna).

La pubblicazione dell'ultimo rapporto - quello del 2000 - ci ha dato tutta la motivazione e la rabbia che ci serviva. Abbiamo quindi consegnato di persona al direttore della nostra filiale la lettera presa dal vostro facsimile, con la precisazione che non solo chiudevamo il conto corrente per trasferirlo su Banca Etica (cosa che abbiamo fatto immediatamente), ma che avremmo diffuso la notizia a parenti e amici invitandoli a fare altrettanto.

Il direttore della filiale si è detto costernato e non informato della vicenda ma personalmente capiva la nostra scelta. Ci ha stupiti tuttavia trovare, il giorno dopo, un messaggio in segreteria: era del direttore generale - rag. Menini - che chiedeva di parlarci a proposito della lettera.

Una settimana dopo ci siamo sentiti. Nel frattempo ci eravamo informati sui "beneficiari" di quel sostanzioso finanziamento (ben 19 miliardi di lire!). Anche il direttore diceva di essersi informato perché non sapeva esattamente della vicenda; che tuttavia non si trattava di un "finanziamento" bensì di una "transazione" (al che abbiamo fatto presente che per noi, viste le conseguenze - supporto tecnico al commercio di armi - era la stessa cosa); che il destinatario era un paese europeo (quindi non un paese in guerra - abbiamo ribadito che non faceva alcuna differenza, sempre di armi si trattava, non di fiori); che capiva la nostra posizione e prometteva che una cosa simile non sarebbe più successa.

Abbiamo allora chiesto che la Banca si pronunciasse ufficialmente, come Unicredito. Ha affermato che era a conoscenza della scelta di Unicredito ma che non poteva impegnarsi al momento, perché sono decisioni del Consiglio di Amministrazione, al quale avrebbe portato il problema. Ci siamo salutati cordialmente infine, con la richiesta, da parte nostra, di una risposta ufficiale ai nostri chiarimenti e di una presa di posizione ufficiale della banca nei confronti di tutti i risparmiatori sul commercio di armi. Abbiamo comunque ribadito che era nostra intenzione portare avanti la Campagna fra singoli e associazioni locali.

Questa è la cronaca della vicenda. Un commento finale:

1) non pensavamo ad un riscontro così immediato! Il nostro conto era veramente poca cosa, forse ha pesato il fatto che l'abbiamo chiuso davvero per trasferirlo in Banca Etica ma, probabilmente, anche che abbiamo affermato di voler "sensibilizzare" altra gente.

2) nella lettera abbiamo specificato che informazioni provenivano da riviste cattoliche e questo, per chi conosce la realtà bergamasca, sa quanto possa pesare.

3) uno stile aperto al confronto, il rispetto dell'interlocutore, lo "scontro" sul problema e non sulle persone, la precisione dei dati in possesso e la fermezza delle proprie idee hanno sicuramente giocato a nostro favore.

Sappiamo che questo episodio è solo una piccolissima crepa nei piedi del gigante d'argilla. Ma a noi ha dato speranza, che vorremmo trasmettervi.

  • SANDRA e FLAVIO PESSINA.


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