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TORRE MAURA / CALPESTARE IL PANE – SPEZZARE IL PANE

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Quei Rom che vivono nei campi, sotto le diverse denominazioni: attrezzati, abusivi, istituzionalizzati, micro insediamenti, villaggi... sono sostanzialmente stigmatizzati da tutti, dai partiti di ogni tendenza alle stesse organizzazioni che vorrebbero tutelarli, all’opinione pubblica in generale. Il risultato è sempre lo stesso, una disparità pericolosa e dannosa per i Rom che vivono nei campi, chi per scelta, chi per costrizione o mancanza di alternative.

I Rom dei campi sono di fatto accusati di essere dei “parassiti”, privilegiati, approfittatori, incapaci di integrarsi.

Cosa poi significhi integrare è ancora tutto da valutare e capire. I fatti di Torre Maura di Roma sono la conseguenza di tutto questo e di altro ancora, soprattutto di decenni di esclusioni, di pregiudizi e di un clima di odio che hanno portato a gettare per terra e calpestare il pane destinato a quel gruppo di Rom, collocati provvisoriamente in un alloggio, dopo lo sgombero del loro campo.

Spezzare il pane è sempre stato un gesto carico di significato: esprime condivisione, accoglienza, riconoscimento della dignità umana dell’altro, senza esclusione di ceto, classe, religione ed etnia. Nel dare un pezzo di pane, non solo riconosco la dignità dell’altro, ma valorizzo anche la mia, la nostra.

Un pezzo di pane non lo si nega a nessuno!”. Era un principio indiscutibile fino a qualche anno fa, ora non più!

Questo principio – di non negare il pane – piano piano ha cominciato a sgretolarsi, già da diversi anni: vedi le ordinanze di diversi sindaci (di ogni orientamento politico) che vietano di dare una semplice bevanda calda con una brioche ai clochard che gravitano attorno alle stazioni, o ai migranti che cercano di attraversare il confine: vietato aiutarli! Tutto per il così detto “decoro cittadino” da salvaguardare! Dare del pane a chi è nel bisogno, da qualche anno a questa parte, è diventata una minaccia al decoro cittadino. Il decoro sembra ormai avere la priorità sul quel sentimento umano, primordiale che ha caratterizzato il genere umano e l’Occidente stesso, quello di garantire e donare il pane a tutti.

Ma spezzare il pane per un cristiano o per chi vive una fede religiosa, ha dei significati immediati, chiari: rimandano al mistero stesso di Dio. La Bibbia, la Torah e il Corano sono ricchi di richiami e messaggi “teologici” riguardo allo spezzare il pane, da condividere soprattutto di fronte all’affamato, al bisognoso, come all’ospite e al viandante di passaggio.

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo!” (Gv, 6,41).

Pane come dono di Dio, Gesù pane spezzato per la salvezza di tutti: buoni e cattivi, meritevoli o meno.

Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo”. Gettare a terra il pane e calpestarlo perché non sia dato ai Rom è come calpestare il volto di Gesù, figlio di Dio, che si è identificato con l’affamato, il povero, la vedova, il forestiero... Come tale è un gesto sacrilego che offende Dio e l’uomo allo stesso tempo, umiliando non solo i Rom, ma l’intera umanità. Per il cristiano Cristo è presente in tutti, ma nei poveri tale presenza acquista un’importanza tale da essere paragonata allo stesso mistero eucaristico. Che senso può avere, non solo per coloro che hanno profanato il pane o per i tanti che si definiscono i “difensori della civiltà cristiana”, ma soprattutto per le nostre comunità cristiane, celebrare l’eucarestia domenicale, se poi nella vita non riusciamo a spezzare il pane dell’amicizia e della giustizia con i privilegiati del Regno che Gesù stesso ci ha annunciato? Che senso può avere rimanere ancora distanti, indifferenti, appollaiati sui nostri balconi, assistendo passivi alla sorte di questi “poveri Cristi”, gettati per terra e calpestati?

“Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18, 8).


Campo Rom di Coltano (PI),12 Aprile 2019.


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