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MOZAMBICO / LA CHIESA ALTOPARLANTE PER CHI NON HA LA POSSIBILITÀ O IL CORAGGIO DI PARLARE

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INTERVISTA A MONS. LUIZ FERNANDO LISBOA, VESCOVO DI PEMBA

Di fronte agli attacchi che da due anni e mezzo stanno destabilizzando il nord del Mozambico, la Chiesa è una delle poche voci che prendono la parola. Abbiamo intervistato mons. Luiz Fernando Lisboa, missionario passionista, brasiliano, dal 2013 vescovo di Pemba, la città capoluogo della regione di Cabo Delgado.

Conferma gli attacchi nel distretto di Muidumbe nella seconda settimana di aprile? Il giornale “Savana” parla di 50 o 70 morti?

Sì, confermo gli attacchi nel distretto di Muidumbe. Sappiamo che ci sono morti, ma non sappiamo esattamente il numero. Le comunicazioni sono difficili, ma un cristiano mi diceva i nomi di molte persone che sono state uccise. Sono passati alcuni giorni, ma le persone con le quali abbiamo contatti sono ancora nella foresta: non possono tornare alle loro case, perché coloro che stanno attaccando sono ancora nella zona.

Conferma gli attacchi alle chiese?

Sì, ci sono stati attacchi alle chiese. La prima volta è successo a novembre 2019 nel villaggio Criação: la chiesa e il tabernacolo sono stati profanati. In quell’occasione anche un’altra cappella fu data alle fiamme. All’inizio di aprile è stata attaccata la storica chiesa del Sacro Cuore di Gesù, a Nagololo: ha 96 anni ed è la seconda missione della diocesi di Pemba. Non è stata bruciata tutta la chiesa perché è grande. Sono stati bruciati una statua di Maria, alcuni banchi ed è stata fatta a pezzi una immagine di Gesù.

Ritiene credibili le rivendicazioni dello Stato islamico? È lo stesso gruppo ad operare o possono essere gruppi diversi?

Ultimamente si è parlato di Stato islamico, ma non ci sono certezze assolute. Né sappiamo se sia lo stesso gruppo dell’inizio. C’è un dibattito aperto sul fatto che sia lo Stato islamico o meno e anch’io ho miei dubbi. L’impressione, anche ascoltando opinioni differenti, è che siano diversi gruppi che si sono uniti.

Borges Nhamire (Instituto de estudos sociais e económicos) afferma che il numero dei morti ha già superato i 1000, mentre il numero di sfollati circa 156mila.

Da gennaio sto dicendo che il numero dei morti ha superato i 500. Sempre si riporta il numero dei civili morti, ma nessuno dice quanti siano i morti tra i militari dell’esercito e coloro che attaccano. Se Nhamire dice che i morti sono più di 1000, io non contesto. Mentre ritengo che sia molto più alto il numero di sfollati. Il governo, all’inizio dell’anno, parlava di 156mila. Ma da gennaio ad aprile, sono migliaia le persone che hanno abbandonato i loro villaggi cercando rifugio nei centri abitati più grandi, fino a qui, a Pemba. Con certezza il numero di sfollati ha già superato i 200mila.

Qual è l’azione della Chiesa in questa situazione?

La Chiesa si è mossa fin dai primi attacchi. In primo luogo, cercando di essere una voce che parla e che riporta in Mozambico e nel mondo quello che sta succedendo. Fin dall’inizio c’è stata una certa pressione affinché non si parlasse di Cabo Delgado. Ad esempio, alcuni giornalisti sono stati arrestati. La Chiesa, invece, ha sempre cercato di parlare: dev’essere come un altoparlante per chi non ha la possibilità o non ha il coraggio di parlare. Ma non c’è solo questo. La Chiesa, attraverso la Caritas diocesana e in collaborazione con molte organizzazioni, sta aiutando la popolazione, soprattutto gli sfollati, in termini di alimentazione, indumenti, medicinali, acqua e tende. Inoltre, durante tutto questo tempo, i missionari sono rimasti nelle zone di conflitto fino a che hanno potuto. I membri del governo e i funzionari pubblici sono stati i primi a fuggire. Anche le Ong se ne sono andate per difendere il loro personale. I missionari sono stati gli ultimi ad andarsene.

Papa Francesco, il giorno di Pasqua, nella benedizione urbi et orbi, ha parlato specificamente di Cabo Delgado. Qual è il significato di questo intervento?

Per noi è stato come un balsamo. Un mese prima avevo scritto al Santo Padre spiegando la situazione di Cabo Delgado e già avevo ricevuto una risposta attraverso il nunzio apostolico, dichiarando che stava pregando per noi ed era preoccupato per quello che stava succedendo. Noi ci aspettavamo che avrebbe parlato di Cabo Delgado. La parola del Papa ha un peso molto forte. È un uomo di Dio e quando chiede che il mondo preghi e faccia comunione con una certa situazione, questo, di fatto, succede. In questo tempo di Pasqua, noi crediamo nella forza del Risorto. Il nostro Venerdì santo è stato molto lungo, a causa della sofferenza di Dio nel suo popolo. Ma ci siamo sempre detti che Dio sta soffrendo e piangendo assieme a noi, sta camminando al nostro fianco. Questo stesso Gesù che soffre con noi, ci dà la forza per alzare la testa, per andare avanti e per risorgere con lui. Perché noi crediamo nella vita, nella comunione, nella pace e nessuno ci può togliere questa speranza.

Chemba, 22 aprile 2020

(L’intervista è stata curata per “Missione Oggi” e per “Nigrizia”)


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