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Vedo una giovane donna che, dopo un anno e mezzo in mano a un’organizzazione terroristica, abbraccia la famiglia.

Vedo una madre che ritrova una figlia, dopo aver temuto di non rivederla più. E non riesco a immaginare le notti insonni, aggrappata a una speranza intermittente.

Vedo una ragazza che ha scelto la cooperazione come lavoro e, anche se percepiva un compenso, credo non sia questo il motivo di scandalo.

Vedo l’altro lato della famosa Malindi, quella che non brilla come la sabbia delle famose spiagge. Vedo bambini orfani e un progetto d’aiuto.

Vedo una donna, non una religione; una giovane con degli ideali, non un abito. Vedo sollievo e felicità.

Vedo istituzioni che hanno lavorato nell’ombra con persone che rimangono nell’ombra, che qualche volta ce la fanno e altre no.

Vedo voglia di festeggiare, di vincere, in un periodo di dolore. Perché anche tornare a sorridere e a commuoversi insieme, pur nel distanziamento sociale, è un punto di ripartenza.

Vedo un continente considerato ancora di serie B, perché il ritornello è sempre “c’è tanto bisogno anche qui…”.

Vedo la dietrologia all’opera, il complottismo nelle tastiere e nelle teste, sempre a senso unico. Vedo che per tanti un rapimento equivale a una quarantena.

Vedo un volto, lacrime di gioia, sorrisi e una famiglia riunita… Vedo l’emozione di quel momento, da fissare, da guardare, da custodire nel bagaglio delle “cose da salvare”.

Vedo colloqui privati, intimi, unici… e che tali devono rimanere.

Vedo Silvia Romano. Che bello rivederla!



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