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IN MEMORIA DEL REGISTA DE “L’UOMO CHE CERCA PAROLE” / GIGI DALL’AGLIO

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Ricordare Gigi Dall’Aglio. Ma quale Gigi? Il regista teatrale, lo scrittore, il saggista? Io lo ricordo come uomo curioso e pronto a nuove esperienze. Molti anni fa, a partire dal 1974, io lo ho iniziato all’Africa, l’Africa sotto il Sahara, quella che un tempo si diceva Africa nera. Furono anni di narrazioni, l’attraversamento del deserto, Tombouctou, l’Africa del Corno d’africa, l’Africa delle foreste, Zanzibar.  Allora eravamo insegnanti a Fidenza, provincia di Parma. Lui al classico, italiano e latino, io al tecnico, matematica. Nei giorni in cui avevamo impegni pomeridiani si mangiava insieme alla trattoria. E lì lui chiedeva, con una curiosità che nascondeva un progetto segreto e mai trasmesso. Era il suo sistema, mettere in magazzino tutto il possibile, il concreto il simbolico il mito la letteratura esistente, e poi mescolare con metodo e intelligenza, non agitare. Illuminismo di fondo ma anche visione e esperienza registica.  

Nel 2007, in estate, arrivò l’occasione, per me e per Gigi. L’anno precedente avevo conosciuto in Africa, in Ciad, un missionario saveriano che faceva messa in una lingua relitta, la lingua Masa. Poi, come tutti i sardi, si rivelò poco per volta, a casa sua, alla sera, quando scambiavamo parole sotto un melograno. Era linguista, saveriano linguista con studi accademici in Francia. Esercitava quindi le due professioni, quella legata alla fede e quella legata alla terra. Il padre Tonino Melis stava preparando un vocabolario per un popolo di analfabeti, un vero monumento alla cultura, la prima matrice perché un popolo possa riconoscersi. Al ritorno parlai a Gigi del mio incontro, e nello stesso tempo gli consegnai un primo trattamento per una sceneggiatura. Trenta pagine con un titolo: L’uomo che cerca parole. Motivazione del progetto: facciamo un film come antidoto a tutte le pellicole che ingrassano la noia esistenziale. Cinema naturalmente autoprodotto: forse per sale, forse per festival. Organizzazione semplice, troupe ridotta, soldi sufficienti, tecnologia d’avanguardia (telecamera in alta definizione). Tonino Melis diede l’imprimatur alla sceneggiatura e così pure il superiore dei saveriani che si raccomandò di non fare apparire i suoi confratelli come eroi. 

Si parte, destinazione Nord Camerun, scalo finale a Garoua. Gigi in Africa si muoveva bene. Spendeva tutto quello che aveva accumulato prima, spendeva il suo immaginario la sua fantasia immediata il suo grande rispetto per le culture altre. Venti giorni di girato, più o meno. Diventammo tutti un po’ sardi e un po’ Masa. Alla sera prove di montaggio e qualche volta prove di educazione trascendentale sotto la guida del sardo Tonino e di Gigi filosofo, sempre sotto la pianta di melograno. Gli altri ascoltavano. Il film fu terminato. Girò per festival e università, facoltà di antropologia culturale. La EMI (Editrice missionaria italiana) pubblicò nel 2009 un libro su questa esperienza che portava in allegato il film in dvd: L'uomo che cerca parole. Un libro e un film che raccontano di Tonino Melis missionario antropologo in Africa. Prefazione di padre Giulio Albanese, missionario comboniano, testi di Mario Ghiretti, appendice di Gigi Dall’Aglio dal titolo: “Come girare un film in savana tra i Masa del Camerun”

Regista, attore e drammaturgo, Gigi Dall’Aglio, originario di Parma, è morto all’inizio di dicembre a causa del Covid. Tra i fondatori di una delle prime cooperative teatrali in Italia e poi del “Teatro Due” di Parma, aveva 77 anni e calcava i palcoscenici dal 1963. Aveva partecipato alle prove per lo spettacolo “In teatro non si muore…” che avrebbe dovuto debuttare il 31 ottobre, prima che la pandemia costringesse a un nuovo rinvio. Ha diretto oltre 200 spettacoli in Italia e dal 1984 ha portato in scena “L’istruttoria” di Peter Weiss per non dimenticare lo sterminio degli ebrei nei campi di concentramento nazisti.



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