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È stata ufficialmente la necessità del distanziamento sociale per il timore di una ripresa dell’epidemia da coronavirus a proibire, per la prima volta in trent’anni, ad Hong Kong la veglia che dal 1990 ha ricordato al mondo gli eventi di piazza Tienanmen a Pechino e la repressione-simbolo della reazione della “leadership” cinese alle richieste di democrazia e diritti della sua popolazione.

Un divieto facilmente previsto dai gruppi come l’Alleanza di Hong Kong a sostegno del Movimento democratico in Cina che vi hanno visto un provvedimento motivato dall’intolleranza verso ogni divergenza di opinione nei confronti della leadership locale e di Pechino, che a pochi giorni dal 4 giugno ha proposto una legge per la sicurezza nazionale che priva nei fatti l’ex colonia britannica dell’autonomia prevista fino al 2047.

UNA LEGGE CAPESTRO

Davanti a una situazione difficile e aperta a sviluppi drammatici, ancora una volta i leader delle proteste hanno chiesto ai sostenitori “di farsi acqua”, ovvero aggirare gli ostacoli ed evitare lo scontro diretto pur di raggiungere lo scopo. A loro volta, gli esponenti dei gruppi filo-Pechino hanno chiesto ai concittadini di non partecipare alle manifestazioni e, soprattutto, di “non tornare a chiedere la fine della dittatura del partito unico”, perché questo potrebbe provocare una dura reazione giustificata dalla nuova legge che colpirà reati di ribellione, secessione e terrorismo, con però la discrezionalità abituale della magistratura cinese per nulla indipendente dalle scelte e dalla volontà del Partito comunista. Come sottolineato anche dall’agenzia cattolica pan-asiatica UcaNews, Pechino considera le proteste di piazza iniziate nell’ultima fase nel giugno 2019 come “azioni terroristiche” e come “secessione” ogni richiesta di indipendenza. 

La bozza della legge era stata approvata dall’Assemblea nazionale del popolo, il Parlamento monocamerale di Pechino, e inviata all’esame del Comitato permanente della stessa Assemblea alla fine della sessione parlamentare annuale il 28 maggio. La decisione definitiva da parte del Comitato è arrivata il 30 giugno, non a caso anticipando di un giorno la data che ricordava il ritorno di Hong Kong sotto il controllo cinese il 1° luglio 1997. Centrale nel testo della legge è il potere che Pechino avrà di perseguire chiunque nella sua Regione autonoma speciale secondo le leggi vigenti nella Repubblica popolare, scavalcando quelle locali.



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