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CONGO RD / VERSO LA PARALISI POLITICA?

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Vacilla la coalizione di governo in Congo RD, la coalizione che ha garantito la prima transizione pacifica del paese dall’indipendenza. I governi occidentali si preoccupano, ma anche la vicina Repubblica del Congo (Brazzaville), che teme un’invasione di persone in fuga  in caso di crisi a Kinshasa. Le due capitali più vicine al mondo sono divise solo dal fiume Congo. 

Da qualche mese ormai i due gruppi che compongono la coalizione di governo, il Cach (Cap pour le changement) del presidente Felix Tshisekedi e il Fcc (Front commun pour le Congo) dell’ex presidente Joseph Kabila non si intendono. Tshisekedi accusa l’Fcc di bloccare perfino le istituzioni e qualsiasi iniziativa del governo. Tutti sanno che, per arrivare al potere, l’attuale presidente aveva siglato un accordo segreto con l’ex presidente Kabila. Alla fine però i nodi vengono al pettine e le divergenze incalzano. Kabila controlla il parlamento e il senato, dove ha la maggioranza assoluta, una parte del governo, quasi tutte le assemblee provinciali salvo una (del Kasai orientale), parte delle forze di sicurezza, dell’esercito e della polizia. 

Stanco di questo modo di procedere, Tshisekedi il 2 novembre ha lanciato una serie di consultazioni per esplorare la possibilità di una maggioranza alternativa a quella con Kabila, dando vita ad una nuova coalizione. Per questo ha incontrato responsabili politici, religiosi, rappresentanti della società civile, sindacati, imprenditori. Queste consultazioni, concluse il 26 novembre, sembrano non aver sortito risultati. Alcuni esponenti dell’opposizione (del gruppo Lamuka), di cui l’attuale presidente era membro prima di coalizzarsi con Kabila, non hanno voluto partecipare alle consultazioni. Quelli che l’hanno fatto, non hanno rilasciato alcuna dichiarazione. Lamuka è il terzo gruppo, che aveva Martin Fayulu come candidato a presidente, che la Cenco (Conferenza episcopale del Congo), con i suoi osservatori, aveva indicato come vincitore alle elezioni. 

La Cenco, incontrando il presidente Tshisekedi, ha dichiarato che il male va combattuto alla radice, correggendo il modo di operare delle istituzioni preposte a monitorare le elezioni. Perciò vanno appianate le divergenze sulla Ceni (Commissione elettorale nazionale indipendente) e implementate le riforme della legge elettorale. “Non accetteremo un compromesso – ha dichiarato il segretario della Cenco – che porti alla spartizione della torta politica con il popolo messo nuovamente da parte”. Tshisekedi ha incontrato anche l’arcivescovo emerito di Kinshasa, il card. Monsengwo, che ha richiamato l’importanza di sostenere l’economia del paese colpita dalla recessione sia da Covid-19, sia a causa delle tensioni tra gli alleati di governo. La popolazione è a dir poco indignata con il governo, perché la moneta continua a svalutarsi. In cinque anni il franco congolese ha perso il 50 percento del suo valore. Oggi un dollaro vale più di 2000 franchi congolesi. 

Uno dei punti conflittuali tra Cach e Fcc è la nomina dei membri della Ceni, cominciando dal suo presidente, Ronsard Malonda, sostenuto dal Fcc, ma inviso agli altri, anche da gran parte della società civile, che vorrebbe al suo posto una personalità indipendente, non vincolata alla classe politica. Altro punto di conflitto è la nomina dei giudici della Corte Costituzionale. L’attuale presidente insiste affinché siano nominati due nuovi giudici, ma l’ex presidente Kabila non è dello stesso avviso. Sono le istituzioni chiave per il successo delle prossime elezioni del 2023. La tensione istituzionale si percepisce anche all’interno dell’esercito, tra chi manifesta fedeltà all’attuale capo di Stato e chi riconosce ancora l’autorità di Kabila. Il 12 novembre, l’addetto stampa dell’esercito, in una conferenza stampa a sorpresa ha dichiarato che l’esercito è fedele alle istituzioni dello Stato e ha messo in guardia i politici che vorrebbero strumentalizzare l’esercito ai loro fini. 

La popolazione non è molto entusiasta di queste consultazioni. In ogni crisi del paese, infatti, si è fatto ricorso a questa formula di concertazioni, dialoghi nazionali, scambi, senza mai arrivare ad un cambiamento sostanziale in favore della popolazione. La lentezza poi con cui si affrontano problemi tanto gravi è esasperante. La gente vuole concretezza, miglioramenti economici e sociali. Inoltre, nel paese è sempre più difficile accompagnare lo sviluppo dei fatti a causa dell’inasprimento delle misure nei confronti degli organi di stampa. L’unione nazionale della stampa congolese, le organizzazioni Journalistes en danger e Rapporters sans frontieres denunciano l’aumento delle violazioni dei diritti della libertà di stampa. Da 85 violazioni nel 2019 si è passati a 116 quest’anno. Le violazioni sono per lo più imputate alle forze di sicurezza tra cui l’Anr (Agence nationale de renseignement). Il problema più grave è l’impunità per chi compie questi reati. 

Anche le violazioni dei diritti umani sono aumentate. Lo fa notare l’ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani, che ha censito più di 4000 violazioni tra gennaio e giugno 2020. Un aumento del 35 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. L’Est del paese è il più colpito, con più di 1300 vittime civili attribuite ai diversi gruppi armati, di cui il più attivo è l’Adf (Allied democratic forces), che ha dichiarato fedeltà allo Stato islamico/Daesh. C’è da chiedersi come mai più di 20mila soldati delle Fardc (Forces armées de la Republique du Congo) dispiegati nella regione, senza contare quelli della Monusco (Mission del l’Onu pour la stabilisation di Congo), non siano in grado di neutralizzare questi gruppi armati. Un altro fenomeno inquieta le istituzioni: il riaffiorare e il moltiplicarsi, da un anno a questa parte, dei discorsi di odio tribale e di xenofobia regionale nei media. Questa tendenza aveva già portato a iniziative di pulizia etnica in diversi punti del paese negli anni ‘90. 

Sul versante sanitario, in Congo RD si registrano oggi (2 dicembre) 12.859 casi di positivi al Covid-19 e 335 vittime. I dati, che attualmente sembrano in crescita, non sono però molto affidabili. L’organizzazione per la difesa dei diritti umani Hrw (Human Rights Watch) ha comunque denunciato l’uso improprio dello stato di emergenza, provocato dal Covid-19, per reprimere attivisti dei diritti umani e oppositori politici. Fra tante cattive notizie, ne emerge però una buona: è stata sconfitta l’undicesima epidemia di ebola, che ha causato 2287 vittime. Anche la più grande epidemia di morbillo al mondo, che ha registrato più di 7000 decessi di bambini sotto i cinque anni, sembra quasi debellata. Questo anche grazie al coraggio del personale sanitario che, con pochi mezzi e qualche aiuto delle agenzie umanitarie, ha saputo dare il meglio di sé per salvare un gran numero di vite.



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