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Una tombolata con i missionari malati

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A me il carnevale non è mai piaciuto molto. Eppure quest'anno una strana “forza” mi ha spinto a mascherarmi: è la “forza” dei missionari che vivono nell’infermeria della casa madre dei saveriani a Parma. D’accordo con i responsabili dell’infermeria, con gli altri volontari e volontarie abbiamo organizzato una tombolata per regalare un paio d'ore di svago e qualche dolcetto ai missionari anziani e malati.

Giovedì grasso alle ore 15, sono arrivata mascherata da geisha. Provavo disagio e imbarazzo, ma tutto è sparito al vedere l'ilarità sui volti di tutti. Quando organizziamo questi incontri festosi, leggiamo negli occhi dei missionari una luce diversa: si accende in loro la gioia di rompere la solita routine. E avvertiamo anche una certa malinconia per la loro condizione di infermità.

Ci sembra che mentre sorridono sorpresi e divertiti nell’anima, sul volto scendono delle lacrime di malinconia. È comprensibile!

La tombolata è andata bene: ciascuno ha vinto un piccolo premio e il pomeriggio è trascorso tra schiamazzi di trombette, risate, coriandoli…, mentre io “davo i numeri” estratti per la tombola e le gustose chiacchiere di carnevale si scioglievano in bocca.

Alle 17, il trucco si è sciolto e noi, volontarie e volontari abbiamo ripreso il nostro ordinario servizio. Ma cosa significa essere volontari all’infermeria dei saveriani?

Ecco la mia esperienza personale. Da quando frequento i saveriani ho sempre sentito parlare del “quarto piano”, dove si trova l’infermeria della casa madre. Un giorno, un po' per caso, ci sono capitata e ne sono rimasta colpita: qualcosa si è mosso in me e così ha avuto inizio la mia “vocazione”.

Per me non è un servizio, ma un privilegio: il privilegio d’incontrare persone nella loro fragilità fisica, mentale, emotiva; quella fragilità che spesso tendiamo a nascondere, ma che è propria dell'essere uomo.

Lì sono in contatto con l'uomo e con il missionario “malato”.

Dedicare qualche pomeriggio a loro non è solo prestare un servizio utile, ma è andare incontro al fratello e farsi suo prossimo. Pur nella malattia e nell'età avanzata, ogni fratello possiede una ricchezza umana e spirituale enorme: la sua esperienza e saggezza.

Il volontario è come un Cireneo, che per qualche istante cerca di rendere meno dolorosa la croce del malato, per dirgli: “Non sei solo, sono qui con te”.

Abbiamo una funzione analgesica: non risolviamo problemi, ma condividiamo qualche ora della nostra vita con loro.​



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