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LA PAROLA

Verso mezzanotte Paolo e Sila, in preghiera, cantavano inni a Dio, mentre i prigionieri stavano ad ascoltarli. D’improvviso venne un terremoto così forte che furono scosse le fondamenta della prigione; subito si aprirono tutte le porte e caddero le catene di tutti. Il carceriere si svegliò e, vedendo aperte le porte del carcere, tirò fuori la spada e stava per uccidersi, pensando che i prigionieri fossero fuggiti. Ma Paolo gridò forte: “Non farti del male, siamo tutti qui”. Quello allora chiese un lume, si precipitò dentro e tremando cadde ai piedi di Paolo e Sila; poi li condusse fuori e disse: “Signori, che cosa devo fare per essere salvato?”. Risposero: “Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia”.

E proclamarono la parola del Signore a lui e a tutti quelli della sua casa. Egli li prese con sé, a quell’ora della notte, ne lavò le piaghe e subito fu battezzato lui con tutti i suoi; poi li fece salire in casa, apparecchiò la tavola e fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per avere creduto in Dio. (At 16,25-34)


Quella fu per il carceriere senza nome la notte delle grandi sorprese. Anzitutto quella corale inconsueta, la cui voce saliva dal fondo della prigione. Chi mai può inneggiare a Dio fra i ceppi e in piena notte? Stretti ai piedi, i ceppi obbligavano a una dolorosa immobilità e i tentati movimenti causavano ferite.

Paolo e Sila non rivolgono esortazioni agli altri detenuti. Vivono la loro situazione con quella follia che colpì già i primi discepoli dopo il dono dello Spirito: felici di soffrire per il nome di Gesù (At 5,41).

Il terremoto scalza i ceppi non solo a loro, ma a tutti.

Paolo immagina, vede il gesto che il carceriere si prepara a compiere per sfuggire a una condanna a morte certa e lo rassicura: i prigionieri sono liberi, ma ancora in carcere. L’uomo non ci mette un minuto a capire che c’è un messaggio per lui in tutti quegli eventi. Si getta ai piedi di coloro che erano prima in suo potere, li fa uscire dal carcere e pone dritta la domanda essenziale: “Che cosa devo fare per essere salvato?”. Anche Paolo e Sila vanno al sodo: “Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia”.

Non è un uomo solo, è una famiglia che, risvegliata dal sonno, ascolta in quella notte da Paolo e Sila la Parola del Signore. Essi non gli chiedono la liberazione, né un altro favore. Sono loro che hanno da offrire, anzi da indicare: l’uomo otterrà la salvezza credendo al Signore Gesù, colui per il quale essi erano in prigione. 

Il carceriere si fa servo dei suoi prigionieri. L’acqua che aveva in riserva lava le loro piaghe ed è battezzato con la sua famiglia. C’è come una risalita dagli inferi che culmina attorno a una mensa: una cena forse preparata in fretta, ma piena della gioia della fede ricevuta in quella notte straordinaria.

Un’affascinante docilità percorre il testo, quella del carceriere e della sua famiglia: in essi la grazia della buona notizia di Gesù entra a fiotti senza trovare ostacolo e li fa passare dal buio alla luce, dalla separazione alla comunione, dal dominio alla fraternità, dalla prospettiva di morte alla gioia di una vita nuova. La salvezza ci può venire dai luoghi più impensati!

Che l’acqua del battesimo una volta versata sulle nostre teste sia l’acqua del conforto, il balsamo curativo che offriamo a quanti dai sotterranei del mondo giungono a noi coperti di piaghe, ma portatori misteriosi di salvezza e gioia.



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