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Un Paese con profonde differenze e divisioni

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Lo scorso 8 gennaio a Brasilia, una manifestazione di cittadini contrari all’elezione del presidente Luis Inácio Lula da Silva ha preso d’assalto la Praça dos Três Poderes e invaso il Palazzo presidenziale, il Parlamento con Camera e Senato e la sede del Supremo Tribunale Federale, la Corte Costituzionale brasiliana, più o meno quanto è successo negli Stati Uniti nel gennaio 2021.

L’incursione è durata un paio di ore, il tempo di distruggere tutto quello che i vandali di estrema destra trovavano sul loro cammino. Non si trattava di azioni di milizie Black Bloc o gruppi del genere, ma di gente comune, auto denominatasi “gente di bene”, sostenitori del presidente uscente Jair Bolsonaro che, dopo le elezioni dell’ottobre scorso, si sono accampati di fronte alle caserme e ai quartieri generali dell’esercito in tutto il paese per invocare l’intervento militare.

Queste iniziative sono state promosse dallo stesso Bolsonaro, finanziate da grandi impresari legati soprattutto al settore agropastorale, tollerate quand’anche appoggiate da settori delle forze armate e della polizia, istigati da personalità politiche e religiose di estrema destra e da social media particolarmente accaniti contro tutto quel che può essere tacciato di “comunista”. L’obiettivo era il colpo di stato.

Se il nuovo governo e le istituzioni del Paese non si fossero mosse immediatamente decretando l’intervenzione federale (dispositivo che destituisce e sostituisce provvisoriamente gli alti comandi della sicurezza dello Stato), probabilmente staremo ancora soffrendo gravi conseguenze di caos istituzionale. Varie centinaia di persone sono state arrestate, tra cui politici, ex-ministri, impresari, leaders, influencers.

Come si è arrivati a questa situazione? La polarizzazione sociale, politica, ideologica è piuttosto generalizzata nel mondo intero. Il capitalismo selvaggio, con la progressiva concentrazione di ricchezza, la frenesia del profitto a tutti i costi e l’eliminazione di tutto ciò che può impedire l’assoluta liberalizzazione del mercato, porta inevitabilmente ad uno stato di dominio di pochi, alla violenza e allo sfruttamento dell’umanità e del pianeta fino agli ultimi termini.

Ogni Paese poi ha la sua storia e le sue caratteristiche. Il Brasile è un Paese strutturalmente coloniale e schiavista, con profonde differenze e divisioni tra classi sociali, redditi, educazione, identità culturali e razziali. In quanto stato culturalmente “cristiano” tergiversa tra una pietà popolare, un impegno sociale ed un fondamentalismo radicale tanto evangelico come cattolico. In quanto paese del Sud del mondo, geopoliticamente strategico e ricchissimo di risorse naturali, è permanente oggetto delle avidità di corporazioni del mondo intero. Questo fa sì che la società brasiliana sia quasi per inerzia ostaggio di potentissimi ed autoritari interessi internazionali.

La Chiesa brasiliana è specchio di questa società. Ha lasciato in parte al passato il suo forte impegno per la giustizia sociale. Oggi si ritrova con un militantismo cattolico piuttosto conservatore, con settori che manifestano un clericalismo profondo e diffuso, con una gerarchia divisa e poco attiva a livello nazionale, ma anche con resistenze comunitarie, sensibilità a livello popolare e “zoccoli duri” di impegno socioculturale sempre molto interessanti, soprattutto nelle periferie delle grandi città.

La difesa della democrazia e dei diritti umani sono temi decisamente difesi dalla Chiesa, accompagnati però da manifestazioni preoccupanti da parte di movimenti integralisti che la costringono continuamente a una moderazione poco profetica.



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