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Udine, una tappa per i novizi

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Primi passi verso la vita missionaria

Da alcuni anni, i giovani del noviziato saveriano di Ancona passano tre mesi a Udine, nella casa dell’Immacolata. Così entrano a contatto con altre culture. Ecco cosa scrive Andrea, che ha vissuto l’esperienza.

Da marzo a maggio sono stati tre mesi un po’ speciali, per noi novizi del primo anno: Javier, Simone e Andrea. Li abbiamo passati a Udine, presso Casa dell’Immacolata, fondata da don Emilio De Roja nel dopoguerra, in uno dei quartieri più poveri ed esclusi della città.

Accogliere per incontrarsi

Casa dell’Immacolata è oggi una realtà che riesce a fare dell’accoglienza un’occasione di incontro. Accoglie sessanta ragazzi minorenni immigrati, provenienti da Romania, Albania, Kosovo, Afghanistan, Marocco e Bangladesh. In una struttura adiacente, sono ospitati dodici adulti con un passato di dipendenza dall’alcool. È interessante ed evangelico constatare come cammini così differenti abbiano punti di contatto nel cammino unico di liberazione. In questo senso, accoglienza e incontro si stringono la mano.

Immersi a tempo pieno in questa realtà, ci siamo dedicati completamente all’attività con i ragazzi. Molti di loro, ancora adolescenti, hanno lasciato la loro terra, la famiglia, le amicizie. Qualcuno ha lasciato un paese in guerra, dal quale è fuggito per cercare altrove un’alternativa di vita. Ogni volto si porta dietro una storia che è come un giardino. Tanti volti sono scavati e profondi; le storie sono intricate e gli alberi del giardino ben fitti. Proprio qui, paradossalmente, la nostra fantasia e creatività hanno avuto più spazio per volare.

Primo: stare insieme

I ragazzi imparano, prima di tutto, lo spirito dell’accoglienza. Poi imparano la lingua e un lavoro: carpentiere, saldatore, muratore... Tutto è finalizzato a farli pentare uomini maturi e cittadini responsabili. Una cosa si tocca con mano: la povertà maggiore di un adolescente lontano da casa è quella affettiva, accompagnata dalla povertà culturale.

Da queste due povertà ci siamo sentiti chiamati in causa. Perciò abbiamo cercato soprattutto di "stare insieme". Abbiamo ascoltato, giocato, raccontato, conpiso la giornata, pregato. Abbiamo anche organizzato alcune attività, che sono servite come strumenti di aggregazione: gite, tornei di calcio e basket, teatro, incontri di lingua italiana e inglese, lettura collettiva dei giornali.

Certamente, abbiamo ricevuto più di quanto abbiamo donato.

E il dono più grande è stato questo: vivere nella pratica le parole che Gesù ci dice ogni giorno, "ero straniero e mi avete accolto".



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