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Pace tra i popoli: L’olocausto congolese

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Un conto è parlare della guerra stando lontano; un conto è viverla e subirla come individuo, come famiglia, come popolo. Spesso si parla di guerra come se fosse una cosa normale; come se fosse il destino di un popolo o un affare che non ci riguarda.

Tra i Paesi che si trovano in situazione di guerra, c'è anche il mio Paese: la repubblica democratica del Congo. Non è una guerra civile né tra etnie. È una guerra economica mondiale. Grandi potenze si disputano le enormi ricchezze naturali della mia terra congolese. È una guerra basata sullo sfruttamento sistematico delle risorse minerarie con l'invasione di truppe straniere, di cui i telegiornali non parlano mai. Qualcuno l'ha chiamata: "la terza guerra mondiale africana", con più di 4 milioni di morti. Io parlerei di "olocausto congolese" o di "uragano dei Grandi Laghi".

La guerra spacca tutto!

La guerra vissuta in Congo è una guerra inammissibile, come tutte le altre guerre. In quante esperienze di morte noi congolesi ci siamo trovati! L'unica cosa di cui eravamo certi era la morte! In guerra succede di tutto. Ci sono tanti padroni improvvisati e ognuno fa la propria legge, definendo i propri criteri di vita o di morte.

Noi abbiamo visto e vissuto la distruzione della vita; lo stupro delle donne davanti ai mariti e ai figli. Abbiamo visto genitori allontanati dai figli; mariti separati dalle mogli. Abbiamo vissuto l'esodo dalla nostra terra, dalla nostra casa, dai nostri pochi beni; la rottura dei rapporti familiari e amichevoli.

Nella guerra tutto entra in crisi: i valori, l'identità, la fede. Nel vedere i corpi senza vita in balia delle mosche, le case distrutte e fumanti, nel piangere la morte dei nostri cari... ci ponevamo tante domande: "Chi è l'uomo? Qual è il senso della vita? C'è ancora un motivo per continuare a vivere? Chi commette questi misfatti è un uomo come noi? Ha un cuore di carne come il nostro?...".

Una litania di domande, tutte senza risposta. Il nostro grido a Dio era come il grido del profeta Abacuc: "Perché mi fai vedere l'iniquità e resti spettatore? Tu che non puoi vedere il male e non sopporti l'iniquità, perché taci?".

La guerra spacca tutto. È frutto di ingiustizie e ne genera altre.

La pace è dono e impegno

Solo chi ha vissuto la guerra conosce il caro prezzo e il senso vero della pace. La pace è certamente un dono; ma è anche un impegno. Non basta volerla, sognarla... Essa non è il silenzio delle armi; non è mangiare a sazietà; non è libera circolazione di persone e di beni... È lo sbocciare della vita; la promozione della vita in famiglia, nella società, nelle relazioni interpersonali, nei nostri spazi d'incontro. La pace è sapersi fidare dell'altro; è fare e vivere la giustizia nei confronti dei deboli e indifesi. La pace è riconoscere la dignità di ogni persona e rispettare ogni creatura, che porta l'impronta di Dio.

Pace significa imparare a tergere le lacrime di chi piange e portare consolazione. Essa non si ottiene con le armi, la violenza, l'arroganza. Non si costruisce la democrazia spargendo sangue e diffondendo la cultura della morte. Tante economie occidentali si basano sulle vittime del sud del mondo!

Non si può cercare la propria felicità affliggendo e impoverendo gli altri.

Con l'esperienza della guerra vissuta in Congo si è rafforzata la solidarietà tra la gente, tra le vittime, tra gli innocenti. Abbiamo imparato ad apprezzare la bellezza e la sacralità della vita. Questa sarà "la quiete dopo la tempesta".



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