Dal Brasile, padre Diego fa ancora l'indiano?
Perché mi chiamano “indiano”? È stato un mio nipote di 8 anni a darmi questo nome. Mi spediva le foto per posta elettronica, ma gli tornava tutto indietro. Allora mi ha scritto: "ma zio, sei ancora in foresta a fare l'indiano?" È cominciato proprio così.
Il viaggio in Europa, lo scorso dicembre, è andato bene. Con Luciano Da Silva, coordinatore del consiglio indigenista del Brasile (CIMI) abbiamo fatto molte conferenze, abbiamo incontrato molta gente. Ovunque l'ospitalità e l'accoglienza è stata molto grande. Abbiamo seminato e adesso speriamo che la Provvidenza faccia la sua parte.
Tornato in Brasile, sono sommerso da un mare di robe da fare... Ho celebrato il Natale in due favelas della periferia di São Paulo dove sono le missionarie saveriane. Poi ho partecipato all'assemblea dei saveriani. Ora devo mettermi a studiare. Dicono che si diventa intelligenti quando si va a scuola! Ho iniziato il corso di greco e di ebraico e dovrei terminare l'anno prossimo. Seguo anche la pastorale indigenista e visiterò i villaggi Guaranì del litorale. Così, almeno dalla macchina, vedrò un po' di mare... Qui la gente dice, "il futuro appartiene a Dio", e quindi, speriamo bene. Un saluto a tutti.
p. Diego Pelizzari, sx
In Sierra Leone, padre Bramati è sempre attivo
Sono tornato in missione, in Sierra Leone, il 18 novembre scorso, con i miei ottant'anni di età. Con le mani giunte, dico continuamente grazie al Signore e alla Madonna per avermi ancora una volta voluto qui in missione per lavorare per il regno dei cieli e portare a Cristo le anime per le quali Lui ha sparso il suo preziosissimo sangue.
La letizia nel mio cuore, per essere ancora vicino a coloro per i quali ho potuto spendere la mia vita di missionario, è veramente grande e genuina. Ringrazio tutti per le preghiere con cui accompagnate noi missionari e a tutti faccio i più sinceri auguri.
p. Nazzareno Bramati, sx.
Dal Congo, padre Dovigo racconta i fioretti di “Gigi del giaso”
I vigili lo fermano in città: “Padre, non sei in regola; potresti essere messo in prigione!”. Lui risponde: “Grazie, là sono a casa mia: sono il cappellano delle prigioni di Bukavu”.
Un altro giorno, i soldati che vigilano sul traffico d'armi, ispezionano la sua fuori serie . “Padre, cosa porti sotto il telo?”. Lui fa: “Un morto...”. E loro: “Cosa? un morto?…Facci vedere”. Toglie la plastica e fa vedere il mezzo maiale, comperato al mercato per i suoi detenuti…
Nato a San Bonifacio di Verona, padre Luigi Stevanin, vive in Congo dal 1970. Accogliente, buono, semplice, disponibile e, soprattutto, calmo e imperturbabile. I saveriani lo chiamano “Gigi del giaso” (ghiaccio). Abita con p. Riccardo Nardo, dedito alla preghiera di guarigione. La loro abitazione porta il nome di “Casa della salute”.
Padre Luigi è uno ai quali il buon Dio, in quel giorno, certamente dirà: “Bene, servo bravo e fedele, entra nel gaudio del tuo Signore”. Ma lui non ha fretta e gli risponderà: “Aspetta un momento”. E quando Gigi dice “un momento”, possono essere ore, giorni, mesi...
p. Giuseppe Dovigo, sx.
