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Togliere lavoro, sfruttare la gente con un lavoro indegno o mal pagato è anticostituzionale… Se non fosse fondata sul lavoro, la Repubblica italiana non sarebbe una democrazia.

Non rassegniamoci all’ideologia che immagina un mondo in cui solo metà lavoreranno e gli altri saranno mantenuti da un assegno sociale: l’obiettivo da raggiungere non è il reddito per tutti, ma il lavoro per tutti, perché senza lavoro non ci sarà dignità.

Non c’è buona economia senza buoni imprenditori. L’imprenditore deve essere prima di tutto un lavoratore; se non ha esperienza della dignità del lavoro, non sarà un buon imprenditore. Questi condivide le fatiche e le gioie del lavoro. Chi pensa di risolvere il problema della sua impresa licenziando non è un buon imprenditore, è uno che commercia con i lavoratori. Oggi vende la sua gente, domani vende la sua dignità.

Si sa che regolamenti e leggi pensate per i disonesti finiscono per penalizzare gli onesti. Una malattia dell’economia è la trasformazione progressiva degli imprenditori in speculatori. L’imprenditore non va assolutamente confuso con lo speculatore. Lo speculatore non ama la sua azienda, i lavoratori, ma li vede solo come mezzi per fare profitto, usa l’azienda e i lavoratori. Quando l’economia passa nelle mani degli speculatori tutto si rovina, perde il volto, diventa astratta, spietata.

La tanto osannata meritocrazia usa in modo ideologico una bella parola, il merito, la snatura e perverte. Il nuovo capitalismo, infatti, attraverso la meritocrazia dà una veste morale alla disuguaglianza, perché tratta il talento non come dono, ma come merito. Finisce così che il povero è considerato un non meritevole, e quindi colpevole del suo stato: e se la povertà è colpa del povero, i ricchi sono esonerati dal fare qualcosa.

Dal discorso di papa Francesco ai lavoratori dell’Ilva, Genova, 27 maggio 2017 



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