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LA PAROLA
“Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto un letto, ma la pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce. Non c’è nulla di segreto che non sia manifestato, nulla di nascosto che non sia conosciuto e venga in piena luce. Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha, sarà dato, ma a chi non ha sarà tolto anche ciò che crede di avere”. E andarono da lui la madre e i suoi fratelli, ma non poterono avvicinarlo a causa della folla. Gli fecero sapere: “Tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e desiderano vederti”. Ma egli rispose loro: “Mia madre e i miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica (Lc 8,16-21).

La spiegazione della parabola del seme s’era chiusa così: “Il terreno buono sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza”. Sebbene l’identico seme fosse caduto su terreni diversi, solo l’ultimo si è rivelato fecondo. Tutti hanno udito la Parola di Dio, ma sassi, uccelli del cielo e spine, ne hanno provocato la morte.

La differenza non sta dunque nell’ascolto, ma nel modo in cui lo si fa: “state attenti a come ascoltate”, avverte Gesù. La Parola offerta va anzitutto accolta e conservata dentro un cuore integro e buono, vale a dire, nella coscienza, nella capacità di riflettere e di decidere secondo i comandi del Signore. È ciò che Maria ha fatto nell’Annunciazione: ha ascoltato la parola del messaggero di Dio, si è interrogata, ha domandato, ha detto sì e si è fatta serva dell’Altissimo, madre del Figlio unigenito. E quelle parole, mai capite del tutto, se le è portate dentro, sbriciolandole e rimettendole insieme infinite volte per coglierne il senso. Fino al Calvario, fino alla stanza superiore a Gerusalemme, dove anche lei venne di nuovo riempita dallo Spirito, Parola di fuoco che si manifestò poi nelle lingue e nei dialetti del mondo allora conosciuto.

Un cammino lungo e non scontato quello dell’accoglimento della Parola. Chi pretendesse di ridurla al primo ascolto, a un’interpretazione letterale, la consegnerebbe al fanatismo. È imprescindibile che avvenga, secondo il linguaggio della parabola, la penetrazione della semente nel segreto della terra, l’unica testimone di quel lento disfacimento che condurrà alla maturazione del grano.
Ma la vita, con tutte le cose belle e brutte che si porta dietro, può far seccare la spiga prima che giunga a pienezza. Neppure i germogli bastano. Perché ci sia frutto ci vuole perseveranza.

Tutta la tensione della parabola sfocia in questa necessità di non soffocare il seme e di renderlo pazientemente manifesto attraverso gli effetti che produce. Sarebbe sciocco accendere una lampada per poi nasconderne la luce. Il lavorio della Parola nell’intimità di chi l’ha ascoltata, dovrà vedersi. Un ascolto che non diventi obbedienza alla Parola, è un vano arrotolarsi sul proprio io, un pericoloso autocompiacimento. La luce non esiste per sé stessa, esiste per svelare la realtà.

L’episodio della madre di Gesù e dei suoi fratelli sembra allontanarsi dal discorso della parabola. Invece non è che l’occasione per ribadire nei fatti quanto là è stato detto. Di fronte alla richiesta dei suoi parenti di “vederlo”, Gesù ribadisce il primato dell’ascolto. Ciò che conta non è la visione, riservata solo ai pochi che l’hanno incrociato sulle strade della Palestina, ma avere fede nelle sue parole, seguire la sua voce. Ed è su questa fede che si stabilisce quel rapporto di fratellanza e di maternità che ci lega a lui e a tutti quelli che in lui credono. Nessun vincolo familiare viene negato, svalutato o privato del suo valore intrinseco. È posto invece nell’orizzonte dell’amore crocifisso, amore che va oltre la morte perché obbedienza assoluta a Dio e all’uomo.



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