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“La gloria di Dio è che l’uomo viva”. I Salmi riportano questa frase, ed è quanto di più profondo vi sia nel cuore umano. Dio ci ha creati a sua immagine e somiglianza, e questo lo tocchiamo con mano nella “vita” che in noi palpita, cresce e non muore mai.

Non conosciamo l’aspetto fisico di Dio, ma sappiamo che Lui è la vita presente nell’universo, che anima e sostiene ogni cosa ed essere. Questo pensiero non appartiene solo alla fede cristiana, ma è riconosciuto da chiunque. Ogni religione, infatti, a partire dagli antichi egizi, ha sempre creduto e immaginato l’uomo come essere che partecipa alla vita divina, la cui esistenza prosegue oltre la morte.

Anche qui in Giappone, le religioni (buddhismo e shintoismo) condividono questa stessa visione. Esse hanno in comune con il pensiero cristiano, l’idea della vita (dall’inizio alla fine) come festa, in quanto partecipazione alla vita divina. La persona che vive unita a Dio vive nella pace e nella gratitudine. Per questo motivo i giapponesi sono riconoscenti. Al lettore sembrerà strano che questo articolo, che voleva commemorare i defunti, sia diventato un inno alla vita, che palpita nel cuore umano.

Nella società giapponese il ricordo dei defunti e della morte avviene in diverse occasioni e modalità. Ciò accade soprattutto il 15 agosto, con particolari celebrazioni. Processioni, danze lente e tradizionali, lumini accesi su barchette, con cui si invitano quelli dell’aldilà a trascorrere alcuni giorni quaggiù con i propri cari, per poi far ritorno alla dimensione di eterna permanenza. Sono ricordati anche durante i giorni nel solstizio di primavera e autunno, come coloro che sono “passati” ed ora vivono in un altro mondo.

Si può superare la sofferenza del distacco per la perdita di un proprio caro anche grazie a un cammino religioso e psicologico. A sette giorni dalla sua scomparsa (ma anche a quarantanove giorni, a un anno) sono previsti particolari riti. Al centesimo giorno ogni pianto deve essere interrotto. Il defunto è ormai definitivamente nella vita che non ha più fine, in cui scompare ogni dolore.

In Giappone si crede che esista un rapporto personale tra vivi e defunti. Nonostante la morte, si vive ancora gli uni per gli altri, anche se in “luoghi” diversi. Ogni giapponese sente una profonda riconoscenza verso coloro dai quali ha ricevuto la vita, e offre loro il frutto del proprio lavoro: primizie, cibo e preghiere, sull’altarino familiare.

Lì, ogni giorno, vibra il campanellino, il cui suono è come la voce dei propri cari. Si crea un’onda di intensa comunicazione tra chi vive sulla terra e chi vive nel cuore del Buddha, nell’emisfero degli dei o nel cuore di Dio che Gesù stesso ci ha mostrato.



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