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La missione che ci raggiunge

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Padre Savio Corinaldesi è un saveriano marchigiano che ha lavorato per sei anni in Spagna e, a partire dal  1968, in Amazzonia, in Brasile. Negli ultimi anni è stato segretario nazionale della Pontificia Unione Missionaria del Brasile. Gli abbiamo chiesto di collaborare con noi e lo ringraziamo. Attualmente, risiede nella Casa Madre di Parma.

Un caro collega di seminario, oggi parroco di una cittadina delle Marche, mi scriveva, tempo fa. “Qui in paese abbiamo ormai una fetta di popolazione extra comunitaria molto nutrita: in maggioranza musulmana. Ci sarebbe tanto lavoro missionario, ma ti confesso con vergogna che non sono capace di affrontare un lavoro così nuovo. Ho un inquilino, in una casa della parrocchia, originario della Tunisia. Lavorava presso un ristorante. L'estate scorsa è andato a trovare i suoi ed è stato via quattro mesi. Il proprietario l'ha licenziato. Ora non paga più l'affitto. Sto aspettando giorni migliori. Loro hanno una concezione della vita e della società molto diversa dalla nostra. Stiamo a vedere”. Don Servilio C.

Caro Servilio…

Caro Servilio, ricordi i nostri anni di seminario? Allora la geografia ci sembrava molto chiara: da una parte noi e la nostra gente. Cristiani. Dall'altra parte del mare, gli altri. I "pagani". Noi seminaristi ci preparavamo a lavorare in Italia, nelle parrocchie: catechesi, liturgia, amministrazione... Ogni anno poi qualcuno "lasciava il seminario" e "andava missionario". E così tu sei restato in Italia ed io sono partito per il Brasile.

Non sono passati cinquant'anni e guarda che cambiamento! Gli africani, i musulmani, i "pagani" sono venuti nella tua parrocchia. Non è finito il mio lavoro missionario all'estero, ma anche tu, che sei rimasto in seminario, in diocesi, perché credevi di non avere la "vocazione missionaria", ti vedi improvvisamente obbligato a fare il missionario.

Un’occasione storica

Vista l'amicizia che ci lega, mi permetto di risponderti con sincerità. “Ho un inquilino della Tunisia...”. Anche gli italiani, quando sono disoccupati e con famiglia a carico si rifugiano in appartamenti o case dove possano sopravvivere... “Loro hanno una concezione della vita e della società molto diversa dalla nostra”. Sarà poi tanto diversa? E se lo fosse? Quando noi missionari europei andiamo in Asia, Africa, America non diamo la stessa impressione?

A me pare molto bello che questa gente cerchi la chiesa. “Ma lo fanno per interesse!” mi dirai. E con ciò? Il centurione romano di Cafarnao la cui fede Gesù lodò, era meno interessato? E l'emorroissa, la Cananea, i lebbrosi, i ciechi... Grazie a Dio se i poveri, i derelitti, gli "esclusi" guardano alla chiesa come a un porto di salvezza. Guai a noi se perdiamo quest'occasione storica. Ci vengono in casa, ci cercano loro, ce li troviamo davanti senza bisogno di andare oltremare.

“Diamo loro una bella lezione”

I lettori di questo giornale sono amici e benefattori di noi missionari, speriamo che continuino ad esserlo. Ma questo non basta più. Bisogna che diventino missionari qui, in casa. Come? Cominciando a fare missione con l’accoglienza, all’insegna del cordiale sorriso in ogni momento.

Prima di insegnare il catechismo, dove apprenderanno che siamo fratelli, diamo loro una “lezione” di fraternità vissuta, che fa colpo su ogni uomo o donna che ci passa accanto. Potranno anche avere “una concezione della vita e della società molto diversa dalla nostra”, come scrive don Servilio. Ma quando sentiranno che ci interessiamo di loro efficacemente e gratuitamente, che rispettiamo la loro cultura e religione, che li capiamo e li stimiamo, vorrà dire che la prima evangelizzazione è fatta.



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