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“Noi abbiamo bisogno di esser riconosciuti dall’altro per esistere. Il bambino ha bisogno dello sguardo dei suoi genitori, il professore esiste grazie ai suoi allievi, gli amici si confrontano gli uni gli altri. Gli altri ci confermano nella nostra esistenza. Ogni coesistenza è un riconoscimento. Io posso allora cercare di captare lo sguardo degli altri attraverso diverse sfaccettature del mio essere, il mio fisico, la mia intelligenza, la mia voce o il mio silenzio” (T. Todorov, “sous le regard des autres”).

Respirare l’aria dei confini

Colpisce molto l’interesse che esprime oggi la società italiana quando parla di confini. Ciò significa che esiste una mancanza che fa attivare in noi il desiderio di andare oltre il confine, oltre le diversità, oltre ciò che non ci rende uniforme.

La fotografia di questa realtà interculturale si rende evidente in tre luoghi. Il primo è la scuola. Il secondo è lo sport. Il terzo è l’oratorio.

Colpisce la fiducia, ad esempio, dei musulmani nel parroco quando dicono: “in oratorio nostro figlio è al sicuro”. Sarebbe bello capire nel suo senso profondo una frase del genere. Affidare un figlio musulmano nelle mani di un cristiano. Le nostre scuole sono piene di diversità: culture, lingue, tradizioni, fedi. L’ora di religione sta diventando un “corso di religioni” e speriamo che un giorno si arrivi a questo. Colpisce l’affetto che scatta quando un giocatore segna un gol. Sul campo di calcio, ad esempio, non conta il colore della pelle, la lingua d’origine, la religione del calciatore. L’unica cosa che conta è giocare bene, rispettare le regole. Quindi possiamo dire che siamo immersi pienamente in un contesto inter-culturale-linguistico. Respiriamo quest’aria dei nostri confini.

Creare spazi d’integrazione

Colpisce anche il lato opposto che si manifesta nell’erigere muri. Il primo è quello dei pregiudizi che vuol dire rifiutare di vivere, pensare, incontrare. La conseguenza è la paura che si esteriorizza nella costruzione dei muri fisici che vediamo nel mondo.

Se può esistere una preoccupazione è quella di lasciare una bella eredità ai nostri figli. Per i più grandi non è spontaneo accogliere la diversità. I più giovani hanno la fortuna di avere degli amici d’origine straniera, con cui studiare e giocare. Si presenta quindi un’esigenza, insuperabile: creare uno spazio comune, una società integrata.

Il futuro bello, buono e armonico del mondo, dell’Europa, dell’Italia, delle nostre città dipenderà dalla nostra capacità di non escludere, ma di integrare.

Non esiste un “io” senza un “tu”

Colpisce molto quante associazioni e gruppi hanno scelto per il 2016- 2017 il tema del confine. Qualche esempio. Il Salone del libro di Torino ha come tema “Oltre il confine”, l'associazione “Il mandorlo” Confine: spazio di incontro. La mostra dei missionari saverianiIl confine, lo spazio che unisce. Il comune di Schio (VI) ha fondato il suo bando culturale 2016 sul confine.

La sete profonda dell'uomo è l'incontro con l'altro, in quanto diverso da me. Non esiste un “io” senza un “tu”. Il rifiuto di questa diversità è il rifiuto di noi stessi, della nostra identità più profonda. L'uomo, essendo un uomo relazionale, ha sempre bisogno del diverso.

Annullare la diversità è uccidere l’altro, è uccidere me stesso. L'uomo non può vivere da solo.

Non spegniamo le differenze

Mi colpisce la libertà di Gesù, che spesso va oltre i confini. Una delle pagine più belle è l’incontro con la samaritana. In una situazione conflittuale tra i giudei e i samaritani, Gesù non si adegua alle regole.

La Parola di Dio dice “doveva passare per Samaria”. C’erano altre strade per non calpestare il territorio samaritano (pagani, miscredenti, nemici dei giudei), ma egli va oltre i confini del territorio. Dialoga con la donna - cosa strana in quella cultura - e quale donna! Con un passato carico di peccati. E questa disgraziata, graziata, diventa annunciatrice della Buona Novella. E grazie a lei tutti si convertono. Per arrivarci, tante barriere sono state superate: di territorio, di religione, di società, di storia, di genere, di pregiudizio…

Per concludere: i nostri confini, le nostre diversità, le nostre unicità sono una ricchezza. C'è chi se ne serve costruendo dei muri. C'è chi se ne serve, invece, cercando di incontrare l'altro senza cancellare - ma stimando e rispettando - le differenze culturali, religiose, tradizionali, riconoscendosi fratelli, cugini lontani e vicini.

Le differenze non vanno spente. Se lo facciamo, spegniamo la nostra identità più profonda.

E qui vale la pena ricordare il motto confortiano: “fare del mondo una sola famiglia di fratelli”.



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