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L'altra faccia della Sierra Leone

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Il gruppo dei missionari Saveriani tornati dalla Sierra Leone a motivo della guerra civile che ancora infuria in quel paese si sono incontrati a Tavernerio nel marzo scorso per una settimana di preghiera e di riflessione. L'incontro, a cui ha partecipato anche la Direzione Generale dell'Istituto, si è concluso con la decisione di far ritornare presto nella Missione dell'Africa Occidentale alcuni Saveriani per il servizio alle decine di migliaia di profughi sierraleonesi ammassati in Guinea, come pure nella capitale Freetown della Sierra Leone e nella zona dell'aeroporto internazionale di Lungi.

E' una decisione coraggiosa, soprattutto un atto di fiducia nei sierraleonesi che oggi hanno bisogno di segni di speranza, di mani amiche che li aiutino a sopportare e a superare questi momenti tragici della loro storia, che ha anche scritto pagine di eroismo e di testimonianza cristiana fino al martirio.

Un missionario che ha lavorato per molti anni a Kabala mi ha raccontato la storia del giovane Abu, il catecumeno ucciso dai ribelli sul sagrato della chiesa perchè si era rifiutato di arruolarsi nell'esercito rivoluzionario e sanguinario del Ruf. Era figlio di un pastore protestante. Grazie agli ottimi rapporti della sua famiglia con i missionari cattolici e l'amicizia con molti giovani cattolici della scuola superiore della missione, non aveva fatto fatica ad ottenere il consenso del padre a frequentare il nostro catemumenato.

Un giorno i ribelli attaccarono di sorpresa la città, distrussero molte case e giunti alla chiesa parrocchiale, dedicata ai martiri di Uganda, costrinsero un centinaia di ragazze e ragazzi a seguirli nelle foreste. Erano già varie migliaia i giovani arruolati con forza dal Ruf, pena la morte o gravi mutilazioni corporali a quelli che si rifiutavano. Il giovane Abu preferì la morte, perchè la sua fede gli vietava di uccidere e di odiare la gente. Fu scorticato vivo davanti ai suoi amici e finito con un colpo di mitra.

Sono decine di migliaia i sierraleonesi che non hanno più le mani o i piedi o le braccia, menomati nella carne, ma fieri di non essersi arresi ai ribelli. Ci fu anche una diffusa disobbedienza civile da parte della popolazione durante i nove mesi di dittatura del colonnello Koroma. Molti sierraleonesi, cristiani e musulmani, aiutarono i missionari in fuga e li nascosero e nutrirono nei loro rifugi.

Quando il missionario ebbe finito di raccontare la storia di Abu, e di molti altri esempi di eroismo e di genuina bontà, aveva gli occhi colmi di emozione. Forse era un pazzo, come pazza la sua decisione di ritornare in Sierra Leone.

Ma lui sa che questo Paese non è solo violenza, distruzioni e morte.

Crede che il futuro della Sierra Leone comincia anche da questi piccoli semi di bontà.



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