Il Papa con cuore missionario
Messaggio ai saveriani e agli amici
Sabato 2 aprile 2005, mentre il papa Giovanni Paolo II si spegneva, ero anch’io in piazza San Pietro a pregare insieme a una folla sterminata di persone, in maggioranza giovani. Sentivo di essere lì, a questo incontro di chiesa, come rappresentante dei saveriani sparsi per il mondo, e in questo senso ho pregato. Un missionario mi aveva scritto: “Rappresenta tutti noi nel cordoglio e, soprattutto, nel rendimento di grazie”.
Sono tornato ancora in piazza San Pietro verso mezzanotte e la fiumana di gente continuava ad arrivare anche a quell’ora. Anche la mattina di domenica la piazza era stracolma per la Messa e la folla continuava a rendersi presente per un gesto gratuito di riconoscenza, per il bisogno di “essere chiesa”.
Questa massa di gente mi lascia pensoso e mi fa vergognare della mia fede adulta, che crede di non avere bisogno di segni.
La gratuità di quello che tanta gente ha fatto in quei giorni mi ritorna in mente e mi fa interrogare: Cosa ha visto la gente in questo Papa? Cosa ha suscitato tante lacrime e un coro di ammirazione così unanime e universale? Cos’è la chiesa?
In piazza San Pietro un pensiero mi ha accompagnato: il ricordo di ciò che il beato Conforti, nostro fondatore, scriveva per noi nel suo testamento: per il vicario di Cristo l’istituto “nutrirà sempre venerazione profonda e attaccamento indiscusso”. Ho sentito il bisogno di un esame di coscienza.
La chiesa: questa povera-grande realtà continua a rendersi presente in piazza in molte sue manifestazioni: dal cardinale all’umile vecchietta, dallo studioso al cristiano che forse non sa più nemmeno fare il segno della croce; gente di tutte le lingue, razze, popoli e nazioni. Anche la nostra congregazione missionaria è parte di questa realtà; ha senso solo come parte di questa dimensione più grande. Siamo parte anche noi di questa chiesa santa e meretrice, dove i santi vivono e lavorano insieme ad altri che a volte fanno della religione lo sgabello per i loro piedi.
Non mi sento migliore di nessuno. Sento solo il bisogno di essere parte di questa realtà, dove il bene si fa strada a fatica e dove il vangelo è sempre, nello stesso tempo, annunciato e offeso. Parte di questa chiesa che continua a esprimere grandi santi e martiri e alla quale, spesso controvoglia, la società deve continuare a guardare se vuol trovare uno spiraglio di luce. È così, nonostante tutti i nostri difetti. E come sarebbe se fossimo appena un po’ più fedeli al vangelo che annunciamo?
Tra le grandi cose fatte da Giovanni Paolo II, c’è l’aver portato la chiesa a chiedere perdono degli errori del passato. Non è un segno di debolezza, una cosa inutile. Solo chi non ha paura di guardarsi in faccia e di riconoscere i propri sbagli, ha prospettive di futuro. Anche noi missionari dobbiamo riflettere, chiedere perdono e convertirci.
Invito tutti a pregare per la chiesa in questo momento particolare, nella certezza che lo Spirito continua a guidarla e a sostenerla. E non abbiamo vergogna di abbandonarci anche noi alla commozione insieme a tanta gente di ogni angolo della terra. Anche questo è “sentirsi chiesa”.