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Il mondo si può cambiare?

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Serata di festa in casa di amici. Mamma e papà mettono a dormire i piccoli e poi si rimane a chiacchierare di tutto un po’ alla presenza anche dei preziosi e insostituibili nonni. Il discorso scivola sul mondo delle parrocchie e degli oratori. È un’analisi spietata. Non esistono più i parroci di una volta, ora uno deve fare per tre perché c’è la crisi di vocazioni, hanno meno tempo da dedicare agli altri, sembrano più preoccupati degli aspetti economici che delle anime. I cortili degli oratori si svuotano, non sono più centro di aggregazione, come è successo per decenni.

Mi vengono in mente certi missionari che, in territori molto vasti, incontrano le comunità solo un paio di volte l’anno. Mi viene in mente il ruolo dei laici che, in queste realtà, sono responsabilizzati per tenere viva la fede e attuale la Parola di Dio, anche quando manca il “titolare”. Penso ai laici e ai preti nostrani che ancora faticano, in molti casi, ad affidarsi gli uni agli altri. Penso ai giovani e alle famiglie che a quei cortili, a quegli oratori preferiscono il centro commerciale, a chi ancora ritiene la parrocchia un erogatore di servizi, dove prendere senza lasciare, criticare senza compromettersi…

Eppure, la chiesa non può fare a meno dei giovani, pena il suo invecchiamento. Ma ha il coraggio di mettersi in cammino con loro?

L’Istituto Toniolo ha evidenziato che i giovani non chiedono una vita cristiana diversa da quella ufficiale, ma pratiche ecclesiali vive, in grado di legare la loro ricerca di fede a un contesto comunitario significativo (esperienze e testimoni credibili). Le prassi pastorali sono avvertite come inadeguate e generano estraneità. I giovani mostrano, con il loro distacco dalla comunità cristiana, il bisogno di una chiesa più autentica e accogliente.

Il rischio, altrimenti, è incamminarsi sulla strada di un’esperienza di fede soggettiva e solitaria. La sfida, quindi, è seguire e sostenere il processo di personalizzazione della fede.

Papa Francesco durante la Gmg ha fatto una domanda ai giovani: “Il mondo si può cambiare?”. Il suo sì è sostenuto da quei ragazzi che non rientrano nella categoria giovani-divano, tutto comodità e videogiochi. Sono ragazzi che desiderano lasciare un segno con la propria vita, consapevoli del compito che li attende. E se per farlo si può usare la misericordia come antidoto, ancora meglio. È una buona medicina per curare l’indifferenza di chi guarda gli eventi solo attraverso uno schermo (tivù, telefonino, computer).

Papa Bergoglio a Cracovia ha preso per mano i giovani e li ha condotti a vedere il mondo secondo una prospettiva diversa, quella di Dio che ci insegna a incontrarlo nell’ultimo, nel bisognoso, nell’escluso.

Dalla Sardegna ci scrive l’amico Ignazio, attento lettore di Missionari Saveriani. “Le statistiche della società di oggi dicono che i nostri figli acquisiscono il 20% d’insegnamento dalla scuola, il 70% dalla società e solo il 10% dalla famiglia.

Se camminassimo di pari passo con la scuola e togliessimo spazio alla società, noi avremmo il 70+10 e ai posteri lasceremmo un ricordo pieno di pace, di vita, d’amore e di carità cristiana”.

Non è una proposta impossibile, ma un invito, un proposito per l’ottobre missionario che stiamo vivendo.  



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