Il lebbroso guarito!
In questo tempo di Pasqua, dedico una poesia con affetto e ammirazione a don Mario Gerlin, costruttore di lebbrosari e apostolo tra i lebbrosi in Brasile, tra i quali ha voluto morire. E la dedica si estende a tutti coloro che sulla loro scia di luce - come padre Michele, suor Imelda e tanti altri - si sono dedicati a curare i nostri fratelli lebbrosi e con essi tutti quelli che, donando, hanno reso possibile la loro guarigione.
Solo, nel deserto dell'abbandono,
il filo spinato sulle carni sanguinanti,
il fossato profondo come tomba aperta
che mi recide per sempre dai vivi.
Un giorno fuggii dalla prigione,
ritornai timoroso nelle strade
dove camminano i vivi.
Uno di loro venne deciso verso me:
mi aveva riconosciuto. Volevo fuggire, gridare...
Incredibile!
Le sue mani cercavano le mie che non avevo più,
i suoi occhi buoni erano nei miei consumati e increduli:
sentii il calore del suo abbraccio attraversare
il mio corpo piagato che si rizzò nel sole
come polla d'acqua sorgiva...
E cominciai a correre danzare
nel vento che mi abbracciava nel mattino
e mi pareva che tutti mi salutassero felici,
che tutti erano fratelli, che tutto rifioriva
come in una insperata primavera
dove tutto viveva e poteva vivere:
avevo trovato uno che mi amava.
Ero guarito!