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Il Cristo della Strada e degli emigrati

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Per dieci anni ho percorso in auto la superstrada 131 Cagliari - Sassari e viceversa... Durante i miei spostamenti ho sempre visto con la coda dell'occhio la statua bianca del "Cristo della Strada" che guarda i passanti in marcia, nei pressi del bivio di Sardara al chilometro 56. Un giorno, mi sono fermato a osservare da vicino la statua che raffigura Cristo con le braccia tese in avanti per accogliere i viaggiatori e tutti coloro che si fermano, come dice la scritta.

Accoglie con le mani protese

La statua del Cristo Redentore è stata fatta costruire una decina d'anni fa da due famiglie di un paesino della diocesi Ales-Terralba, emigrate in America del sud, in omaggio alla loro natia Sardegna, e in ringraziamento della fortuna trovata in America. Molto probabilmente fu fatta costruire sull'idea del Cristo Redentore di Nuoro.

Il vescovo Orrù e il cardinale Pompedda, che benedirono la statua, durante la cerimonia vedendo le mani di Gesù protese ad accogliere i viaggiatori la battezzarono statua del "Cristo della Strada". Il Signore ci accolga davvero alla fine del nostro correre sulle strade del mondo, e continui a proteggerci perché non andiamo fuori strada su qualche arbusto di fichi d'India o di moreschi, come dicono in Sardegna.

Il dono di due famiglie

Su una targhetta posta sul cancello del monumento del Cristo Redentore si legge testualmente: "Il monumento al Cristo Redentore fu eretto in occasione del Giubileo dell'anno 2000. È un dono di due famiglie emigrate in sud America. Opera scultorea del cagliaritano Barbarino Ianucci, è messa a protezione degli autisti e dei mezzi della strada che transitano nella SS 131 e in tutte le strade. I terreni sono dono della ditta sardarese Roberto e Mario Marras.

L'inaugurazione avvenne il 30 giugno 2002. La benedizione fu impartita dal cardinale Mario Francesco Pompedda, dal vescovo diocesano mons. Antonino Orrù , dall'arcivescovo di Oristano mons. Piergiuliano Tiddia e dal vescovo di Nuoro mons. Pietro Meloni, al clero, ai religiosi e ai seimila pellegrini presenti".

La preghiera del viaggiatore

Da alcuni anni si celebra la festa dell'emigrato proprio in ricordo dei benefattori emigrati, e contemporaneamente si svolge anche il raduno degli autisti dei mezzi pesanti. Sull'altra targhetta della colonna del cancello si può leggere la preghiera a Cristo Signore:

"Signore, che domini il tempo e la vita, e ci guidi verso la salvezza, rivolgi il tuo sguardo sul nostro cammino. Proteggi il continuo frenetico andare di chi, per lavoro e per diletto, percorre le strade di questa nostra terra e posa sul capo di noi tutti, la tua mano provvidente".

Simbolo di tutti i senza terra

I donatori della statua ci ricordano l'emigrazione sarda in America del sud e in altri continenti, dovuta alla questione occupazionale italiana del secolo scorso. L'emigrazione era una scelta quasi obbligata per i giovani sardi in cerca di una prospettiva lavorativa e di vita migliore. L'emigrazione nel secondo dopoguerra, invece, è stata la risposta alla crisi sociale ed economica, di cui la Sardegna e l'Italia erano vittime.

La storia dei sardi emigrati è diventata simbolo della storia di tutti i senza terra, costretti dalla vita ad abbandonare il proprio luogo d'origine per costruirsi un futuro oltremare o oltreoceano. Il duro lavoro e i sacrifici per uscire dalla povertà non hanno minato l'identità culturale e religiosa dei singoli individui e dei gruppi, permettendo la nascita di circoli sardi e la conservazione dei legami religiosi con la propria tradizione.

Dalla Romagna saluto la Sardegna

Con questo articolo, chiudo la mia esperienza missionaria in Sardegna. Ora riprendo a correre sulle strade della Romagna, partendo da Sant'Apollinare in Classe, Ravenna. Nel catino dell'abside risplende la croce gemmata di Gesù Salvatore del mondo, come dice la scritta latina sottostante, e Signore della storia con le lettere greche alfa e omega: Cristo è inizio e fine di ogni cosa.

A tutti gli amici e conoscenti della Sardegna dico: "A si biri cum salude"; in lingua shawili si direbbe: "Arrivederci in cielo o in terra".



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