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I giovani, la realtà, i pregiudizi

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Immersi in una società dinamica, basata sull’apparire piuttosto che sull’essere, i giovani come noi cercano costantemente di farsi notare anziché guardarsi attorno. Spesso focalizziamo l’attenzione sui nostri obiettivi personali invece di volgere lo sguardo a chi è in difficoltà. Questo ci porta ad indossare dei paraocchi, a vestirci di indifferenza ed egoismo di fronte a situazioni critiche, a fare delle maschere l’abito quotidiano.

Chiudere gli occhi e voltarsi dall’altra parte richiede meno coraggio rispetto al porgere una mano. Basiamo la nostra vita sulla ricerca della felicità senza consistenza, ma non comprendiamo che quest’ultima si potrebbe raggiungere guardando chi nel dolore della sua malattia, nella povertà della sua casa o logorato dal rimorso dei propri errori riesce ad alzare gli occhi, sorridendo alla persona che ha di fronte e che gli porge una mano. Come se il sorriso e il contatto visivo con gli altri fossero la cura dell’anima, anzi è la cura dell’umano!

Nella corsa che l’individuo compie per raggiungere i propri obiettivi le belle parole però risuonano solo come una melodia lontana. Per poter abbattere questo limite sociale bisogna suscitare nei giovani delle emozioni forti, capaci di smuovere le menti. Ed è ciò che il nostro oratorio, nel proprio piccolo, si è impegnato di realizzare. Grazie alle esperienze formative di gruppo svolte quest’anno, siamo riusciti ad aprire gli occhi. Ogni persona incontrata ha lasciato una traccia nel nostro cuore. Durante una visita a Scampia, noi giovani siamo riusciti a superare i pregiudizi legati a quel territorio. Siamo entrati in contatto con bambini costretti a vivere, per causa di forza maggiore, in situazioni igieniche non idonee e in abitazioni non a norma.

Eppure, a lasciare un segno sono stati i sorrisi, gli sguardi pieni di sogni e la loro spensierata età, non ancora capaci di interagire con la realtà che li circondava. Inizialmente, la distanza tra la nostra realtà e la loro era evidente. Provavamo compassione per ciò che vedevamo, ma al concludersi della giornata siamo usciti dal campo rom con una consapevolezza: i diversi, i superficiali, quelli sbagliati eravamo noi in quanto ossessionati dall’avere sempre qualcosa in più e invece i più piccoli ci hanno insegnato ad essere felici pur accontentandosi di poco.

Durante la nostra esperienza al campo estivo in Puglia (Galatina), abbiamo avuto l’occasione, invece, di visitare una comunità abitata da persone affette da disturbi psicologici e psichiatrici e siamo stati accolti nel migliore dei modi. Queste persone senza conoscerci ci hanno raccontato le loro vite, la loro malattia, il rapporto con le loro famiglie. Ci siamo sentiti minuscoli e impotenti. Abbiamo sperimentato la bellezza di donarsi gratuitamente, un regalarsi nella propria fragilità. Risuonava con insistenza il coraggio di chiedere aiuto, riconoscere la propria condizione. È vero, il dono è Dono quando si Dona!

Queste esperienze ci hanno portato a riflettere sul nostro agire di fronte alla realtà… alzare gli occhi verso l’orizzonte oppure continuare a girare intorno alla rotonda senza scegliere una strada.
Se Angela la canzone di Checco Zalone ci ha accompagnato in queste esperienza, non possiamo finire senza condividere con voi una nuova versione di Io vagabondo, la canzone dei Nomadi, inventata tra strada, tavola e spiaggia: “Io vagabondo no non sono io, pellegrini siamo tutti, missionari siamo noi e il mondo una sola famiglia”.



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