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Giona, il profeta contrario

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Arrabbiato, perché Dio è buono!

LA PAROLA

I cittadini di Ninive credettero in Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, dal più grande al più piccolo. Dio vide le loro opere buone, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e si impietosì. Ma Giona ne provò grande dispiacere e ne fu indispettito: “Signore, so che tu sei un Dio misericordioso e clemente, longanime, di grande amore e che ti lasci impietosire riguardo al male minacciato. Or dunque, Signore, toglimi la vita, perché meglio è per me morire che vivere!”. (Giona , capitoli 3 e 4)

Il libro di Giona è pieno di sorprese. Fa pensare a un pozzo. Attingi acqua e più attingi, più sgorga acqua fresca, limpida, cristallina. Così è il profeta Giona. Ci provoca a uscire da noi stessi, ad aprirci a nuovi orizzonti.

Un tempo difficile quello di Giona, intorno agli anni 400 prima di Cristo. Tempo di dominazione imperiale. Una dominazione civilizzata , che concedeva alcune libertà, specialmente in campo religioso. Ma la povertà marcava la vita del popolo, come è raccontato nel libro di Neemia (capitolo 5) . Il tempio restaurato, Gerusalemme riedificata, la legge consolidata erano iniziative che garantivano l'identità, ma esigevano osservanza rigorosa della legge, nazionalismo, purezza etnica. La ricerca d'identità era una lama a doppio taglio: assicurava la nazionalità e i privilegi dell'élite, ma doveva scendere a compromessi con la dominazione persiana.

Questa situazione provoca l'autore del libro di Giona ad attingere al pozzo della memoria profetica, attualizzandola al nuovo contesto, unendo profezia e sapienza.

Profeta controvoglia

Giona, il protagonista del libro, è un profeta al contrario. Riceve la chiamata, ma fugge lontano; scende nella stiva di una nave e dorme. Neppure la tempesta lo sveglia. Niente gli interessa. La sua vita è in pericolo, la vita dei marinai è a rischio: chi se n'importa! Ciò che gli sta a cuore è fuggire lontano; così lontano da non rispondere alla chiamata di andare a Ninive.

Gettato in mare, finisce nella pancia di un grande pesce che lo vomita sulla spiaggia di Ninive. Allora si sente obbligato ad assumere la missione che Dio gli ha affidato. A malavoglia percorre in un solo giorno la grande città che “misurava tre giorni di cammino”.

Sulla nave, Giona aveva proclamato: “ sono ebreo e temo il Signore” (1,9) ; ma non ubbidisce al Signore. Sorpresa! I marinai invece, che erano pagani, invocano ognuno il proprio Dio, con grande timore chiedono perdono e offrono sacrifici...” . Sono più religiosi del profeta “ebreo”!

In Ninive, Giona urla la sua minaccia: “Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta” (3,4) . Altra sorpresa! I niniviti, simbolo del male, fanno digiuno e penitenza: il popolo, il re e perfino gli animali; si convertono e credono in Dio... Agiscono come veri ebrei! Ascoltano la minaccia di Giona, anche se questi non si era dedicato con fervore alla missione profetica: si impegna solo per un giorno e proclama sette parole in tutto!

Profeta triste

Dopo queste fatiche, non eccessive, incontriamo il profeta triste e arrabbiato con Dio: “Tu sei un Dio che ti lasci impietosire...!” (4,3) . È triste e arrabbiato, perché ha incontrato, al di fuori della sua razza, i veri adoratori di Dio. È triste e arrabbiato, perché i pagani hanno ascoltato l'invito alla conversione. È triste e arrabbiato, soprattutto perché non voleva un Dio pieno d'amore e di tenerezza, ma un Dio vendicativo.

Dio è tanto paziente che gli rivolge solo un rimprovero, sperando di farlo ragionare: “Ti sembra giusto essere sdegnato così?”. Lui, accecato dalla rabbia, è tignoso: “Sì, è giusto!”.

Per contrasto alla figura e all'atteggiamento di Giona, profezia e sapienza si uniscono per criticare un tipo di fede che si nasconde nei riti, che si rifugia nella rigorosità della legge, che invoca uniformismo e nazionalismo. Si uniscono per smascherare un tipo di fede che presenta false libertà, legate a progetti che negano la dignità umana, il pluralismo, la presenza di Dio nell'universo.

Giona ci parla di binomi: potere e altare, colonizzazione ed evangelizzazione, conquista e solidarietà, egemonia e pluralismo, identità e alterità… Anche le chiese cristiane, chiamate alla missione di predicare il vangelo genuino di Cristo, a volte hanno vissuto alla stregua di Giona.

La storia di Giona ci invita a tornare nel “ventre del pesce” per riflettere, ad esempio, su queste parole pronunciate dagli indigeni del Perù:

“Facciamo memoria della storia dell'evangelizzazione in senso storico-critico. La cultura indigena sia valorizzata e non utilizzata a scopo di lucro, banalizzata o ridotta a folclore”.


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