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È più facile farlo che esserlo! Come essere veri missionari oggi?

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Nel 2003 a Brasilia volevamo organizzare una piccola festa per commemorare i 75 anni di mons. Pedro Casaldaliga, profeta e compagno di viaggio dei poveri dell'America latina. Ci andò male! Sapevamo che l'amico Pedro era allergico ai festeggiamenti, ma avevamo voglia di vederlo felice tra amici, spegnendo le candeline. Ci disse: "Sono radicale! Per quanto riguarda i compleanni, festeggio solo quello del mio battesimo, l'unico anniversario degno di festa".

Il bisogno di dire "grazie"

Ho pensato a quella frase di mons. Pedro quando mi è stato chiesto di "celebrare" i 25 anni di ordinazione sacerdotale nella mia comunità di Villa d'Ogna. La tentazione di essere "radicale" è stata grande. Ma poi, pensandoci bene, siccome non mi chiamo Pedro e non sono né vescovo né profeta, ho accettato "di far festa"!

Il numero 25 mi porta, soprattutto, a una riflessione e a una verifica. Riflettendoci su, sento anzitutto il bisogno di dire "grazie". La mia gratitudine va al Signore, che ha creduto in me e mi ha sostenuto con la sua grazia. Ma un "grazie" lo devo anche a tutte le persone che mi hanno voluto bene e mi hanno aiutato per così tanto tempo.

Verifica significa saper guardare indietro e riconoscere quanto fatto e quanto non-fatto. Spesso mi si chiede: cosa fa il missionario in Brasile? Pochi mi chiedono: chi è il missionario oggi? "Fare" è abbastanza facile. Ce ne sono di cose da fare! Un po' più complicato, invece, è "essere"! Come si fa a "essere" missionari? Esserlo in Italia, in Brasile o in altre parti del mondo è relativo. Non è il criterio geografico che ci fa missionari, ma l'essere disponibili allo Spirito.

Dove l'asino casca...

E qui casca l'asino, anche il mio! Perché sento che non sono così "intimo" dello Spirito. Se lo fossi davvero, il segno distintivo della mia missionarietà sarebbe la gioia. Invece la collera spesso mi assale, perchè non accetto le frequenti sconfitte. Anche se so che noi battezzati siamo discepoli di un Messia crocifisso e perdente, vorrei che il suo Regno potesse crescere senza ostacoli, un po' più alla svelta!

Mi rendo conto che dovrei "essere" più semplice, sobrio e povero, come i primi discepoli. Invece non so fare a meno delle mie idee, del mio tempo, dei miei spazi, del pc, della macchina, dei soldi... Prima del Concilio i missionari andavano in giro a dire che "fuori dalla chiesa non c'è salvezza". Oggi diciamo che "non c'è salvezza fuori dai poveri"! Mi rendo conto che dovrei "passare ai poveri", ma come fare?

Come missionario, devo annunciare la Buona Notizia. Ma oggi, quale Notizia devo dare a chi è senza lavoro o alla famiglia che non riesce ad arrivare a fine mese? Che Notizia si aspetta da me un immigrato che, all'improvviso, scopre di essere diventato un "fuori legge"? È qui il mio asino casca di nuovo! Perché non sono in grado di dare le "Buone Notizie", come ha fatto Gesù.

La missione è ascolto

È finita la missione di chi voleva portare ai popoli la propria cultura e le proprie idee. Invece, continua la missione di chi sa portare la Buona Notizia di Gesù. Tenendo presente che il centro della missione non è il missionario, ma Dio e tutti gli uomini e le donne che il missionario si trova davanti ogni giorno. Ecco perché nella missione è importante "ascoltare". Prima di fare, noi missionari dobbiamo saper ascoltare Dio e gli altri; prima di parlare, dobbiamo sentire quello che loro hanno da dirci.

Perciò facciamoci vicendevolmente l'augurio di seguire l'esempio di mons. Pedro: festeggiare il giorno del nostro battesimo, il battesimo del nostro primo incontro con Dio e con gli altri figli e figlie di Dio.

Lo Spirito Santo ci ricordi che dobbiamo ascoltare la Buona Notizia per annunciarla a tutti.



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