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Come una luce nel buio… Gesù è nato in Indonesia

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Padre Matteo, saveriano cremonese di Pizzighettone, è missionario a Jakarta in Indonesia.

Nell'arcipelago indonesiano, la nazione con il maggior numero di musulmani al mondo, sta purtroppo crescendo il fondamentalismo. Episodi di violenza e discriminazione avvenuti negli ultimi anni ne sono un segno evidente. È un fenomeno nuovo rispetto al recente passato, ma non è spontaneo. Sembra dovuto all'infiltrazione di gruppi di origine araba, che mirano a modificare la tradizionale apertura alle differenze dell'islam indonesiano. Il tentativo è quello di impiantare un islam più rigido e dai caratteri culturali arabi: elementi sicuramente non autoctoni, ma che nell'immaginario dei fedeli mostrano una maggiore purezza religiosa.

Imposizioni sgradite

D'altra parte, leggendo le notizie dall'Italia, mi sembra che la paura del confronto con culture e religioni diverse stia suscitando forme di esclusivismo che, seppur meno violente, non si discostano tanto dalla mentalità del fondamentalismo, in questo caso anti-islamico.

Viene da chiedersi se il temuto "scontro di civiltà" (che sarebbe meglio a questo punto definire come "scontro di inciviltà") sia proprio inevitabile; oppure se invece dovremo rassegnarci a una convivenza separata da muri eretti, più o meno fisicamente, sullo stile della Terrasanta.

Tornando all'Indonesia, bisogna anche dire che, se il movimento fondamentalista finora è riuscito ad avere una grave influenza nel campo del potere politico, solo parzialmente è riuscito a penetrare la società e la cultura. Nella grande maggioranza dei casi, l'islam indonesiano non ha ancora ceduto al fondamentalismo e continua a dare esempi positivi nel campo della convivenza delle diverse espressioni religiose presenti sul territorio. Anzi, il fondamentalismo sembra mettere a disagio tanti musulmani moderati che non riescono a conciliare gli insegnamenti del corano con una mentalità di odio.

La sposa tradita e premurosa

Ho avuto la conferma di questo dato proprio in questi giorni, quando alcuni amici musulmani hanno voluto partecipare a un incontro di approfondimento sul vangelo. Il tema prescelto era la richiesta di Gesù di "amare il prossimo come noi stessi". Durante la condivisione mi hanno colpito particolarmente due testimonianze.

La prima è quella di un uomo cattolico, che ci ha raccontato: "Sono rimasto impressionato positivamente dall'amore concreto di una mia dipendente islamica che, con una motivazione poco plausibile, aveva lasciato il lavoro e la città di Jakarta per tornare al suo villaggio. Da ulteriori accertamenti sono venuto a sapere che la donna aveva scelto di tornare a casa per accudire l'ex marito gravemente malato, lasciato solo e senza speranza di guarigione, nonostante in passato lui l'avesse abbandonata per un'altra donna".

Il camion pieno di aiuti

L'altra testimonianza è stata invece quella di un amico ustad (predicatore islamico). Ci raccontava che, durante i preparativi per la spedizione di aiuti a Yogyakarta, colpita dall'eruzione del vulcano Merapi, uno dei tre camion preparati dal suo centro islamico era rimasto quasi completamente vuoto. Provvidenzialmente, l'aiuto di un amico cattolico aveva fatto sì che anche il terzo camion fosse riempito di alimenti e altri generi di prima necessità. E in occasione della tradizionale distribuzione di aiuti ai poveri per la festa del sacrificio di Ismaele (corrispondente al sacrificio di Isacco nella tradizione ebraico-cristiana), il suo gruppo avrebbe provveduto ad aiutare non solo musulmani, ma anche organizzazioni buddhiste, cristiane e hindu.

Mentre ascoltavo queste esperienze, mi sembrava che uno squarcio di luce si aprisse in tutto quel buio di cui spesso sentiamo parlare e dal quale, troppo spesso, ci lasciamo convincere. È il segno che Egli, nonostante tutto, ancora una volta caparbiamente desidera rinascere tra "i suoi", che non sono solo i cristiani!



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