Anno santo della misericordia
Il 13 marzo 2015, allo scadere del secondo anno di pontificato, papa Francesco ha annunciato a sorpresa l’indizione di un anno santo straordinario, dedicato alla misericordia di Dio, da vivere alla luce della parola del Signore: “Siate misericordiosi come il Padre” (Lc 6,36).
Perché un anno santo?
Perché un anno santo fuori dalla sua scadenza? Una spiegazione potrebbe essere che il papa non prevede di arrivare al 2025, scadenza normale del prossimo anno santo, e vuole anticipare la celebrazione di un giubileo come un “anno di grazia” speciale per la chiesa.
Un’altra possibile spiegazione, legata alla data d’inizio di questo anno santo, potrebbe essere celebrare i cinquant’anni dalla conclusione del concilio (8 dicembre 1965) e riproporre alla chiesa, che sembra averlo dimenticato, l’insegnamento del Vaticano II.
In realtà papa Francesco fin dall’inizio ha fatto capire di voler riprendere il concilio, lasciando cadere le sterili discussioni sulla continuità o la discontinuità del concilio: egli è il primo papa che non ha partecipato al concilio, ma che dal concilio è stato formato.
Un’immagine deformata
Queste due ragioni hanno una loro plausibilità. Ma ce n’è un’altra che il papa sente ancora più fortemente: egli vuole annunciare la misericordia di Dio come l’evangelo, la lieta notizia di cui il mondo post-moderno ha bisogno.
Molti cristiani hanno di Dio un’immagine, se non falsa, quanto meno deformata. Essa non li attira e a poco a poco l’abbandonano.
Francesco vuole riproporre invece il cuore del vangelo, “l’annuncio che si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario” (EG 34.35): sulla misericordia del Padre.
Egli la considera il messaggio più importante e più necessario, perché “senza misericordia il mondo non può vivere” mentre, se riscopriamo la misericordia di Dio, “forse possiamo dare vita alla misericordia anche nostra”.
Il Dio vero e “simpatico”
Attraverso questo giubileo straordinario, il papa vuole evangelizzare la chiesa e aiutare il mondo a ritrovare il vero Dio: un Dio diverso da quello che molti pensano, seguendo la teologia del catechismo di una volta, legata alla filosofia greca.
Al posto del Dio onnipotente, onnisciente, onnipresente, immutabile e impassibile - il Dio dei filosofi - che incute paura, papa Francesco vuole annunciare il “Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo”, quel Dio “simpatico”, nel senso etimologico del termine, che ha cioè un cuore che prova sentimenti di amore e di dolore, che partecipa alla storia del suo popolo e del mondo, che si accosta a ogni uomo e gli fa sentire la sua presenza.
In una parola, quel Dio che è amore e misericordia. Nulla di nuovo. È il vangelo.
Un bisogno di tutti noi
Questa è la vera urgenza che il papa vuole mettere in primo piano e che è silenziosamente richiesta anche da quei cristiani che hanno abbandonato la pratica della fede e da chi si sente escluso dalla chiesa per la sua condizione, da cui vorrebbe comunque uscire. È una richiesta che nasce anche nel dialogo interreligioso e che si fa sentire nel mondo, che sta ormaisprofondando nella cultura dell’indifferenza e dello scarto.
Ma è un bisogno di tutti noi, anche di coloro che vivono la fede. Gesù ha espresso quest’urgenza, come è scritto nel vangelo di Luca: “Quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà ancora fede sulla terra?” (Lc 18,8).
In realtà, la domanda cruciale che Gesù rivolge al nostro mondo uscito dalla modernità, non è se al suo ritorno troverà ancora le religioni o le chiese sulla terra, ma se troverà ancora la fede.
Domandiamocelo!
Gesù troverà tra di noi questa fede? Una fede per la quale ci consegniamo a Dio e ci lasciamo guidare da lui; una fede che ci fa solidali con tutti, specialmente con i poveri ed esclusi; una fede che ci fa sentire figli amati da lui, in un mondo che solo nella fede in Dio trova la forza di vincere le spinte alla violenza e alla morte, che nascono dal nostro egoismo. Troverà questa fede?