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Animazione Missionaria e Vocazionale

Cagliari



Presentazione

Noi saveriani siamo tornati a Cagliari il 24 Luglio 2014. Dopo otto anni dalla temporanea chiusura della grande casa di via Sulcis, si ricostituisce quindi - ai piedi di monte San Michele - la comunità de "i nostri missionari".


Il ritorno dei Saveriani coincide con il cinquantesimo della loro presenza in città, iniziata nel 1964 nel caseggiato che si affaccia nella via Cornalias che è stato per diverse generazioni di giovani luogo di incontro e di educazione alla mondialità. I saveriani hanno nuovamente spalancato a tutti le porte della casa, perché torni ad essere centro di spiritualità missionaria, come scriveva il suo fondatore, sia “aiuola” nel giardino della chiesa diocesana.

Nell'accoglierci, a nome della diocesi, Mons. Miglio ha detto: "I saveriani ci aiutino con la loro testimonianza a conoscere e scoprire la freschezza delle giovani chiese e a rivedere le nostre convinzioni nel Vangelo... Abbiamo bisogno dei missionari di rientro perché non ci adagiamo sulla nostra fede, ma l’offerta della loro testimonianza ci aiuti a rivitalizzarla, senza la paura di una nuova verità”.

Il ritorno dei saveriani a Cagliari ha da subito trovato il sostegno e l’appoggio della chiesa locale, del Centro Missionario e di diverse associazioni. Insieme, riprendiamo dunque la storica attività saveriana di animazione missionaria in diocesi e non solo.

Gli  impegni della casa Saveriana di Cagliari sono:

  • la vicinanza alla chiesa locale con l’attività sacerdotale.
  • le attività di animazione missionaria per ragazzi, giovani e adulti con i temi di mondialità, giustizia e pace.
  • collaborazione con la Caritas per mettere a disposizione l’esperienza missionaria agli stranieri che arrivano in Italia, aiutandoli e facilitando il loro inserimento.
  • incontri, ritiri di spiritualità missionaria saveriana.
  • accompagnamento a laici, amici e benefattori.

Facciamo missione insieme a tutti voi!

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"padiri, mtoto wangu anapenda kuishi. Utusaidie (padre, mio figlio vuole vivere. Aiutaci)” mi diceva, piangendo una mamma. Era venuta da me, portando il suo bambino. Si vedeva che aveva preso la malaria. Allora l’ho accompagnata nel nostro dispensario (piccolo ospedaletto), dove lavorava l’infermiere Bizimana. Ha  capito subito che non c’era tempo di aspettare. Ha dato alla mamma delle pastiglie contro la malaria , le ha detto di dare da mangiare qualcosa (non la solita manioca che riempie lo stomaco), in modo che piano piano si riprenda. E poi di ritornare fra qualche giorno. Se ne va via felice, continuando a ringraziare per l’aiuto ricevuto. Chiedo a Bizimana come è la situazione del bambino. Mi risponde che la mamma è venuta in tempo, altrimenti il figlio sarebbe morto. Sia la mamma che il bambino avevano voglia di vivere, come tante persone in Africa. Vivere, non sopravvivere. Anche loro ne hanno il diritto e noi, per quanto è possibile, dobbiamo aiutarli, non solo economicamente, ma incoraggiandoli per non farli sentire soli. Dopo qualche giorno, la mamma ritorna. Vedo che il bambino sorride dietro di lei. L’infermiere dice che è guarito, ma raccomanda alla mamma di dargli un po’ più di attenzione. Lei risponde che non può fare tutto. Ha altri figli, deve andare a lavorare e il marito…ha altre cose a cui pensare. Prima di andare via, mi mette nelle mani qualcosa, avvolta dalla carta di un giornale, dicendomi: “kwa msada yako, aksanti sana, padiri (per il tuo aiuto, grazie tante, padre)”. E se ne va via sorridendo. Apro la carta e dentro c’erano due uova. Un piccolo segno, ma che riempie il cuore e dà significato alla nostra presenza in mezzo a loro.



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