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I diritti umani al vaglio di religioni e culture


DOSSIER DELLA RIVISTA "MISSIONE OGGI" Maggio Giugno 2018 - A cura di Mimmo Cortese e Laura Novati

 http://missioneoggi.it

La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, uscita dai disastri della guerra, sollecitata dalle esigenze della coesistenza pacifica, fu approvata nel 1948 e ha dato vita a una serie di altri trattati promossi dalle Nazioni Unite, frutto di una costante elaborazione giuridica.

L’importanza della sua esistenza è stata dunque pari alla progressiva consapevolezza della sua inadeguatezza, non solo a comprendere nuove aspettative e bisogni emersi nel corso dei decenni, ma soprattutto verificando la difficoltà della sua applicazione alla complessità delle religioni e culture in cui venivano a collocarsi i diritti del singolo.

Per questo oggi la Dichiarazione non può più giustificarsi solo in nome di un universalismo – di tradizione occidentale – che appare storicamente e ideologicamente inadeguato a rispettare e soddisfare i diritti umani contemporanei. Essi vanno piuttosto misurati sulla base di molteplici convinzioni etiche e religiose non coincidenti, ma da porre in dialogo, vanno applicati secondo una giustizia storica e sociale – di un’epoca post-coloniale – spesso dimenticata nella stessa astrattezza dei principi o più spesso travolta dalle logiche di globalizzazione.

Appare perciò necessario l’affermarsi di una concezione contro-egemonica dei diritti umani e di una pratica ad essi coerente. Se un principio universalmente valido si vuole comunque ritrovare, forse esso si fonda su un compito, quello di “dare voce alla sofferenza umana per renderla visibile ed alleviarla”, come sostiene lo storico indiano Upendra Baxi, esponente di rilievo dei Subaltern Studies.

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