Pubblichiamo un articolo/riflessione del nostro Padre Grenerale - dal sito della Direzione Generale, Roma: https://dg.saveriani.org/it
Carissimi confratelli,
vorrei condividere con voi il frutto dell’ascolto della parola di Dio in questi giorni, sottolineando tre frasi che mi hanno colpito in maniera particolare.
1. “Comportatevi da uomini consacrati a Dio, che vivono alla sua presenza” (2 Pt 3,11). Verso la fine della lettera, l’autore rivolge questo invito ai cristiani di questa comunità, ai quali giustamente chiama ‘consacrati a Dio’. Il mezzo per riuscire a comportarsi in questa maniera è quello di vivere ‘alla sua presenza’.
Ma come fare per vivere alla presenza di Dio? E non una presenza momentanea, ma continua, che dura nel tempo. Il nocciolo è rendersi conto che siamo abitati da Dio: giorno e notte, nell’attività o nel riposo, in casa o fuori, solo o in compagnia… Dio ci precede, ci accompagna e cammina davanti a noi. Di qui la necessità urgente per il consacrato di familiarizzarsi con il Dio vivente, di crescere in questa amicizia che diventa una specie di complicità. E così pian piano diventiamo, grazie all’opera dello Spirito Santo, immagine del nostro Creatore.
A volte ci può essere un certo fastidio, con questo Dio che abita nel più intimo di noi stessi, semplicemente perché si fa fatica a entrare dentro.
La vocazione prima di essere una risposta è una chiamata personale del Signore. La preghiera è giustamente la nostra risposta alla voce del Signore. Risposta che si fa innanzitutto con il cuore e poi anche con la volontà.
Si deve fare attenzione a non confondere la preghiera con la semplice recitazione delle formule, pensare che perché si recitano le preghiere che la Chiesa ci offre siamo già a posto. Una grossa tentazione. A volte ci sono troppe recitazioni esteriori e poco dialogo personale, intimo, con il Signore della vita.
La preghiera deve avere come contenuto principale la parola di Dio. Egli ha parlato e oggi, guidati dallo Spirito, continua a parlarci con la stessa parola che i nostri antenati hanno ascoltato. È questa parola che ascoltata, meditata e amata quotidianamente va dando i frutti dello Spirito in noi.
2. “Rendo grazie a Dio che io servo, come i miei antenati, con coscienza pura” (2 Tm 1,3) L’apostolo fa quasi una confessione di fede davanti al suo discepolo Timoteo. È una verità nella sua vita e ne ringrazia Dio.
Penso alla nostra vita di persone consacrate a Dio. Cosa vuol dire servire Dio con coscienza pura?
Mi viene alla mente ciò che la RFX 390 dice circa il segno vocazionale decisivo, la retta intenzione, cioè “la volontà chiara e decisa di consacrarsi -nell’Istituto Saveriano- interamente al Signore”. Si tratta semplicemente di far convergere la volontà, il desiderio profondo di chi vuole consacrarsi, con la natura, la finalità e la maniera concreta di viverla della nostra famiglia saveriana. Ciò che io voglio nel fondo del mio cuore è quello che trovo in questa famiglia. I due cammini si incontrano, quello personale e quello istituzionale, finché diventano una sola realtà, senza dissonanze. E così si serve il Signore con coscienza pura in questa famiglia missionaria che è diventata la propria famiglia.
La coscienza si forma innanzitutto con la parola di Dio; cioè è Dio stesso il formatore. È Lui che mediante la sua parola illumina, insegna, corregge, incoraggia, avverte dei pericoli, indica la via da seguire. E ci sono anche i documenti fondamentali saveriani, approvati dalla Chiesa e dunque riconosciuti come la vocazione particolare alla quale il Signore ci chiama.
La formazione della coscienza è un processo che continua nel tempo. Trovo molto bello ciò che la RFX 87 dice quando parla della docibilitas: “La formazione quindi “è disponibilità costante ad apprendere quotidianamente ed aiuta a maturare nelle diverse circostanze e casi della vita” (VC 69). Perché ciò avvenga, alla base ci deve essere una visione della vita come vocazione, la disponibilità a mettersi in discussione e a verificare continuamente la propria risposta, il desiderio di progredire umanamente e spiritualmente per rendersi capaci del dono ricevuto, cioè, in altri termini, una retta intenzione vocazionale. Senza queste disposizioni fondamentali ogni cambiamento non può che essere superficiale, non interiorizzato, forzato e di facciata”.
Quindi poter dire come Paolo ogni giorno: “ringrazio il Signore che io servo con coscienza pura nella mia famiglia religioso-missionaria”. E’ questo un bel regalo che ognuno di noi può offrire alla nostra famiglia saveriana, in fedeltà al carisma ricevuto nella Chiesa che si pone al servizio del regno di Dio!
3. “Sforzati di presentarti a Dio come una persona degna, come un lavoratore che non deve vergognarsi davanti al suo lavoro, come uno che predica la parola di verità senza compromessi” (2 Tm 2,15).
È bello sentire queste parole. La dignità della persona è qualcosa di grande. Dignità vuol dire coerenza di vita, sforzo personale per vivere la vita cristiana, impegno per diventare progressivamente ciò che un giorno liberamente abbiamo professato davanti a Dio e alla Chiesa, trasparenza nei pensieri, nelle parole e nelle azioni.
Presentarsi con dignità davanti al Signore deve essere una sfida che, aiutati e guidati dallo Spirito Santo, ci proponiamo ogni giorno. E così alla fine della giornata poter dire semplicemente, ma con molta fierezza e gioia interiore:
“Grazie Signore perché mi dai l’occasione di poter vivere in te, con te e per te”.
Fraternamente,
Fernando García Rodríguez, sx