Ricordo di p. Marino Rigon, Innamorato del Bengala
Ad un mese esatto dalla scomparsa di P. Marino Rigon, avvenuta a Vicenza lo scorso 20 ottobre, alla veneranda età di 92 anni, un ricordo sentito del grande missionario profondamente affezionato al Bangladesh, alla sua gente e alla sua letteratura.
Originario di Villaverla (Vicenza), dov’era nato nel 1925, figlio di una maestra e di un contadino, secondo di dieci figli, il piccolo Marino sceglie la vocazione missionaria profondamente colpito dalla figura del padre con le piaghe sanguinanti che interpretava Cristo durante una rappresentazione teatrale popolare in Quaresima.
Non è facile parlare di p. Marino perché si è di fronte ad un campione, a un gigante della missione, figura poliedrica e ricca di tanti talenti. Sono stato con lui davvero poco, soli due anni, poca cosa rispetto ai suoi 60 anni di missione. Sono coincisi, però, con la mia prima destinazione missionaria, i miei primi passi in Bangladesh in quel di Shelabunia. Sono stati due anni belli che mi hanno permesso di rincontrarlo dopo averlo conosciuto mentre ero studente a Desio.
Ne vorrei dunque tratteggiare la figura ricchissima come con brevi colpi di pennello.
Nell’arte la prima impressione è quella decisiva. Ebbene, la mia prima impressione è stata quella di essere di fronte a un vero missionario, a un uomo completamente dedicato alla sua opera, a un missionario maturo privo di esitazioni e rimpianti.
Ordinato e armonico, elegante e gentile, deciso e forte, p. Marino, sapeva mettere insieme in modo armonioso i molti tratti della vita missionaria: la preghiera e lo studio appassionato, la predicazione e il lavoro, il riposo e le cura delle relazioni, la vicinanza ai poveri e il contatto con le molte personalità intellettuali e politiche che hanno intersecato la sua vita.
Uomo impegnato sui molti versanti, al centro della sua giornata c’era sempre la preghiera.
L’incontro personale con Dio, scandiva e ritmava tutta la sua giornata. Al mattino presto, anche quando d’inverno il paesaggio è ricolmo di nebbia, era puntuale alla celebrazione della S. Messa; la giornata era poi ritmata dalla recita della liturgia delle ore. Col suo breviario (in italiano) si recava in chiesa 5 volte al giorno, come fanno anche i musulmani del Bangladesh. Amante della Vergine, di “Ma Maria” e suo cantore, concludeva la sua giornata con la recita del Santo rosario.
Mi raccontava spesso come nella sua azione missionaria si fosse sempre ispirato alla grandiosa pagina del Discorso della Montagna là dove Gesù dichiara beati i poveri e gli esclusi. Per p. Marino quelle parole di Gesù erano vive e vere. Erano consolazione e speranza per i poveri che incontrava ogni giorno; erano poi invito a scoprire tutta la predilezione e l’affetto di Dio per le vedove e gli orfani della missione. Sono sempre state per lui monito a darsi da fare in modo concreto e puntuale per i poveri: grazie alla San Vincenzo, non esitava a dare una mano nella riparazione della casa di una vedova, o nel dono di alcuni sari per le donne povere dei vari villaggi, alla realizzazione di un vasca per la raccolta dell’acqua durante la stagione delle piogge.
In tutto questo non faceva distinzioni di credo e/o stato sociale, vero testimone del dialogo a partire dalla vita.
La sua predilezione per i più poveri non veniva meno anche quando doveva rapportarsi con le molte personalità bengalesi. Mi parlava spesso di quando giovane missionario, faceva visita ai vari villaggi della parrocchia di Shelabunia. Posti nei pressi della foresta del Sunderban, era costretto a raggiungerli attraversando fiumi carichi di acqua salata e camminando in mezzo al fango.
Rimaneva nei villaggi per diversi giorni, entrando in ogni capanna, stilando una sorta di scheda dove raccoglieva meticolosamente i nomi dei componenti del nucleo familiare, gli avvenimenti importanti delle famiglie (nascite, matrimoni lutti ma anche la registrazione puntuale della celebrazione dei vari sacramenti), le loro necessità. Non temeva di consumarsi per la sua gente.
La sua vicinanza verso gli ultimi non venne mai meno.
Ormai anziano, impossibilitato a recarsi nei villaggi lontani, a scandire la sua giornata a Shelabunia, vi era sempre una visita ai molti malati che ricorrevano alle cure prestate presso l’Ospedale della Missione, il Saint’s Paul Hospital. Qualche volta lo accompagnavo rimanendo meravigliato di come conoscesse tanta gente. Ricordo anche che in quegli anni ci capitò di benedire alcune salme, gente di Mongla impegnata in politica, uccisi a causa delle molte rivalità politiche.
Amar Sonar Bangla
Innamorato di Dio e dei poveri, è stato vero amico del Bangladesh e della sua gente.
Padre Marino era davvero un bengalese a tutti gli effetti. Amava il BD - lì vi ha trascorso più di 60 anni – e in quel luogo vi desiderava morire. Lungo il corso della sua lunga vita ebbe modo di incontrare il fondatore della Patria, Sheikh Mujibur Rahman, Primo Ministro del Bangladesh dopo la sua indipendenza dal Pakistan. A Mujibur il popolo bengalese attribuì il titolo onorifico di Bôngobondhu, "Amico del Bengala". Lo stesso titolo si addice a p. Marino. Infatti gli fu riconosciuto quando nel 2010 ormai 85enne gli fu conferita la cittadinanza per il servizio svolto, per i meriti di cooperatore ed eroe durante la guerra d’Indipendenza; in definitiva per motivi umanitari e letterari.
Amava la sua gente di un amore così grande e autentico che non solo non ho mai udito da lui una parola negativa nei confronti dei bengalesi ma, si intristiva subito se qualcuno di noi lo faceva in sua presenza.
Le molteplici opere
P. Marino si è distinto anche per le sue molte costruzioni. A tutti coloro che venivano a trovarlo raccontava come il filo rosso di tutte le sue realizzazioni fosse sempre stata la scuola. Anche nella sua attività di costruttore p. Marino era guidato da un progetto ben preciso: al primo posto c’era la scuola, l’istruzione, il sapere per tutti, la conoscenza, la sapienza, perché questa insegna a vivere meglio.
Attribuiva il merito della sua opera in questo campo alla Provvidenza. Sì, la provvidenza, sia quella che poteva venire da lontano che quella che gli si manifestò da subito quando alcune famiglie indù regalarono il terreno per la costruzione della grande scuola di Shelabunia.
Le chiese
P. Marino ha costruito anche molte chiese, (se non sbaglio 7). Ricordo al proposito un episodio curioso e allegro che mi capitò nel 2012 quando il vescovo di Khulna fece visita ai villaggi di Chila e Kanainagar, situati al margine della foresta. Il parroco non aveva informato il vescovo a proposito della costruzione della nuova chiesa di Kanainagar, realizzata da p. Marino.
Ebbene, ricordo che lasciato il villaggio di Chila, mentre la gente di Kanainagar si apprestava ad accoglierci tutta festante nel villaggio, il parroco mi chiese gentilmente di comunicare al vescovo che avrebbe avuto la gioia di celebrare nella nuova chiesa. Il vescovo rimase senza parole, anche perché glielo dissi mentre i bimbi iniziavano a dargli la mano e a inondarlo di petali di fiori.
Padre Marino era dotato di buon gusto artistico. Studiava l’architettura delle chiese, ne disegnava i minimi elementi, dalle porte, alle finestre, ricorrendo sempre ai simboli delle diverse religioni locali e alla cultura del luogo. La missione di Shelabunia era diventata un crogiolo di artisti, di pittori e scultori soprattutto di origine indù. Mi divertivo a parlare con loro, ne ammiravo i lavori e, oggi, mi accorgo che p. Marino mi ha trasmesso un poco del suo gusto per l’arte.
Il Centro di ricamo e le arti
Il suo amore per l’arte si manifestava quando ogni giorno si recava al Centro di ricamo da lui ideato e sostenuto. Mentre le donne ricamavano varie scene della vita bengalese, padre Marino parlava con loro contribuendo in modo discreto al loro lavoro di ricamo. Chi di noi non ha avuto l’occasione di ammirare la bellezza del Bangladesh attraverso le noxicate provenienti da Shelabunia, veri e propri quadri in seta?
Innamorato del grande missionario delle genti, S. Paolo.
Chi ha avuto la fortuna di recarsi a Shelabunia si sarà reso conto di un fatto curioso: tutte le varie istituzioni, dalla scuola alla chiesa all’ospedale portano il nome di San Paolo. P. Marino era un vero innamorato del grande missionario delle genti e a lui s’ispirava.
Per p. Marino Paolo rappresentava il modello della sua vita missionaria, l'apostolo coraggioso che sa superare i molti confini geografici e culturali per annunciare a tutti la buona notizia della grazia. Penso che una tale scelta fosse anche un modo geniale per suscitare la curiosità di musulmani e indù nei confronti di San Paolo.
Poesia
Tutti noi sappiamo che non si può ricordare p. Marino senza parlare del suo grande amore per la letteratura bengalese in genere – i Baul con Lalon Shah, Nazrul Islam e di Tagore in particolare. La frequentazione di p. Marino con Tagore iniziò nel 1963, a soli sei anni dal suo arrivo in BD. Gli scritti del Premio Nobel della letteratura 1913, poeta e saggista, romanziere e musico, hanno accompagnato per tutta la vita, con una frequentazione quotidiana e assidua.
P. Marino s’immergeva negli scritti e nel pensiero di Tagore perché ne gustava la profonda umanità e spiritualità, la sincera ricerca di Dio.
Padre Marino ne ruminava i versi perché questi cantavano la dignità e la bellezza di ogni creatura, dalla piccola foglia al pesce che guizza e, soprattutto all’uomo.
P. Marino era un artista ma ancor più un mistico: il verso di una poesia, l’accenno di un canto, il passo di una danza, il suono della “tobla” erano per lui fonte di gioia e di lode.
P. Marino, soleva dire che molti riconoscevano una sorta di somiglianza del suo volto con quello di Tagore. Pare che la somiglianza fosse il risultato della lunga frequentazione con il grande poeta.
Confidava come Tagore lo avesse aiutato ad entrare nella ricchezza della cultura del popolo bengalese. Tagore era diventato suo compagno di viaggio e quasi alleato.
Insieme, diceva, abbiamo messo insieme le molte novelle della nostra vita.
Come non ricordare l’avventura dello Zecchino d’oro, allorché portò in Italia una bambina che vinse il Festival con una canzone che traduceva in musica un testo poetico di Tagore, dal titolo significativo “Siamo tutti dei re”.
Nell’ottobre 212 su interessamento di Laura Santoro Ragaini, Donatella Dolcini e Marilia Albanese, tornò in Italia per un breve periodo per venire insignito del titolo “Accademico di Classe Asiatica” e per far parte dell’Accademia Ambrosiana. In quell’occasione padre Marino terrà la prolusione sul tema “L’uomo e la società in Tagore”.
La sua terra, i suoi cari
Un ultimo pensiero: penso che p. Marino sia stato un grande missionario anche a motivo del suo amore per la sua terra e per tutti voi suoi cari. Amante della sua terra di adozione, non ha mai tagliato il legame con le sue origini, con la sua famiglia e la sua città. Ne andava fiero, diceva che qui aveva imparato molto.
Parlando della sua attività soprattutto nel campo scolastico, ricordava quanto aveva imparato da piccolo, quando la mamma gli diceva che per avere buon grano, perché la messe fosse molta, bisognava lavorare bene il terreno, o come nella vita domestica, occorreva mescolare bene la farina, ed essere pazienti nel proprio impegno.
Alla sua famiglia la gente del Bangladesh deve molto. La stessa storia della Diocesi di Khulna è stata arricchita dal grande impegno dei cari di p. Marino, e non solo per gli aiuti raccolti e donati da loro e per loro iniziativa.
A questo proposito come non ricordare l’impegno dei suoi cari, soprattutto del fratello Francesco, alla creazione della Fondazione dell’ASSOCIAZIONE AMICI DI TAGORE. L’Istituzione ha offerto un paziente contributo alla correzione, finalizzazione, stampa e diffusione dei molti volumi di p. Marino.
Professione missionario
Nel 2010, al termine delle riprese di un bel documentario sulla sua ricchissima attività missionaria, egli espresse un desiderio all’equipe cinematografica. “Ho una richiesta da farvi”, disse, “non date un titolo risonante a questo documentario, dite solo che io sono e sono stato un missionario, uno che si è divertito a essere e a fare il missionario”. I realizzatori lo hanno intitolato “Professione missionario”. Gli si addice bene perché Padre Marino soleva dire che si era divertito a fare questo mestiere per ben 60 anni.
Eppure, mi piacerebbe aggiungerne un altro, magari un po’ meno ad effetto ma vero, e credo che lui sarebbe d’accordo. Mi piacerebbe premettere al termine “missionario” la parola “Vocazione”. Per “vocazione missionario”, come l’apostolo delle genti e perché p. Marino ha risposto con gioia alla chiamata di Dio.
Le ultime parole, le lascio a Tagore, al poeta che lo ha accompagnato e che p. Padre Marino, con le sue molte traduzioni, ha fatto conoscere a noi italiani ricevendo molti riconoscimenti.
p. Filippo Rondi, sx
GIORNO DOPO GIORNO SIGNORE DELLA MIA VITA
Giorno dopo giorno,
o Signore della mia vita,
sosto davanti a Te, faccia a faccia.
Con le mie mani giunte, sotto il grande cielo,
Signore delle stelle,
in solitudine e silenzio, con umile cuore,
sosto davanti a Te, faccia a faccia.
In questo mondo che è tuo,
o Signore che conosci il soffrire,
nel dolore e nella disperazione,
sosto davanti a Te, faccia a faccia.
In questo mondo operoso,
nel tumulto del lavoro e della lotta
Tra la folla che si agita e si affretta,
sosto davanti a Te, faccia a faccia.
E quando il mio lavoro
in questo mondo sarà terminato,
o mio Signore e mio Dio, solo e senza parole,
sosterò davanti a Te, faccia a faccia.
Tagore