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Sua figlia si chiama Divine e suo figlio l’ha chiamato Ismael. Un nome che gli piace e che ha preferito a Isaac, l’erede di Abramo. Li ha lasciati entrambi con sua moglie a Cotonou, nel Benin, da oltre un anno. Aninda dice che non si interessava di politica e che non era militante in nessun partito. Solo che, durante le elezioni del 2006, aveva bruciato l’auto che trasportava schede elettorali già votate. La sua poco Democratica Repubblica del Congo era diretta da un presidente mai eletto dal popolo. Un fantoccio tenuto in piedi dai fili delle multinazionali che per prosperare impunemente organizzano guerre. Troppo era troppo e allora avevano bruciato le schede assieme alla macchina al servzio della frode. Pensavano che anche la menzogna avesse un limite. Si sbagliavano e per salvare la pelle sono scappati nel Gabon che terminava di affogare nel petrolio.

Elettricista di professione, Aninda, ha seguito la corrente e con altri compagni di sventura, è stato deportato in nave a Calabar, in Nigeria. Da lì nel Benin il voltaggio è breve e solo gli rimaneva l’Algeria. Un paese done scorreva latte e miele, gli raccontavano. Per gli elettricisti c‘era solo l’imbarazzo della scelta. È così che si è trovato in prigione un paio di volte, senza luce. Nessun reato da giustificare il carcere. Solo il documento assente di soggiorno e il colore, nero, della pelle. Quello gli era dispiaciuto davvero. Lo hanno messo coi delinquenti comuni e non nelle celle riservate agli africani bianchi, tunisini e marocchini. Umiliante per uno come lui che collega fili e disegna impianti di evasione. A essere sinceri gli davano latte di mattina e pane due volte al giorno. Del miele neanche a parlarne, ma non tutto si può pretendere dalla vita. Specie per i migranti.

Ha voglia di rivedere i suoi figli. Le scuole stanno iniziando e vorrebbe tornare a essere un buon padre. Come quelli di una volta, burberi di facciata solo per darsi un contegno. Tra i numerosi bagagli nasconde una televisione migrante passata indenne dal controllo di frontiera. Ha attirato l’attenzione del poliziotto con una lampada da camera a effetti speciali. Si accendeva e spegneva al tatto. Bastava passare la mano in un certo modo e la luce aumentava a piacimento. Ci teneva alla televisione per potersi godere lo spettacolo. Dallo schermo arriva di tutto, salgono e scendono e sbarcano senza documenti. Le guerre col telecomando e quelle per fare la pace. Ci teneva a portarsi dietro la televisione attraverso il deserto del Sahara in prima visione. Uno spettacolo continuo che si circonda di immagini e personaggi in cerca d’autore.

Il televisore di Aninda non è il solo a dare spettacolo. C’è, ad esempio, l’aeroporto internazionale di Niamey non lontano dal quale giace in pubblico segreto un campo militare francese. Qui lo spettacolo è rappresentato dai fantasiosi sequestri operati dalla solerte dogana. L’ultimo in ordine di tempo è rappresentato da 12 kili di lingotti d’oro in transito per Dubai. Qualche settimana fa, in comuni valigie da viaggio in transito, qualcosa come 9 miliardi di franchi. Uno spettacolo da non perdersi nel paese che lotta con successo per mantenersi all’ultimo posto nell’indice dello sviluppo umano.

Tutto passa in televisione compresa la notizia del nigeriano che ha ingerito oltre un kilo di palline di cocaina. In tutto erano 68 intassate nello stomaco. L’aeroporto è uno spettacolo unico.

Ecco perché Aninda viaggia col televisore. Non vuole perdersi la prossima puntata.

  • MAURO ARMANINO.
  • Niamey, ottobre 2015.


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