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NONVIOLENZA / LA “VIA STRETTA” DELLA PACE

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“Quando tra il popolo più umile, e tanto importante, dell’Italia si arrivasse a mettere il ritratto di Gandhi in chiesa tra i santi, avremmo quella riforma religiosa che l’Italia aspetta dal Millecento, da Gioacchino da Fiore” (Aldo Capitini, In cammino per la pace, 1961).

Nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2017, per la prima volta un papa tratta il tema della nonviolenza in senso gandhiano, che non è solo astenersi dalla violenza – anche un codardo lo può fare –, ma opporvisi con le “armi” della nonviolenza (diplomazia, dialogo, mobilitazione delle coscienze e dei corpi ecc.). È il solo modo, secondo Francesco, di ricostruire “un mondo frantumato” da una “guerra mondiale a pezzi”. La violenza infatti, continua il papa, non è la cura per un pianeta lacerato, perché “conduce nella migliore delle ipotesi, a migrazioni forzate e a immani sofferenze”, destinando “grandi quantità di risorse a scopi militari”, sottraendole “alle esigenze quotidiane dei giovani, delle famiglie in difficoltà, degli anziani, dei malati, della grande maggioranza degli abitanti del mondo”. Solo la carità e la nonviolenza possono guidare “il modo in cui ci trattiamo gli uni gli altri nei rapporti interpersonali, in quelli sociali e in quelli internazionali”. In breve, la nonviolenza, pur essendo la “via stretta” della pace, è quella più praticabile nella prevenzione e superamento dei conflitti, l’unica davvero aperta alla speranza e in grado di mostrare che “l’unità è più potente e più feconda del conflitto”.

Gesù stesso, ricorda il papa, ci offre un “manuale” di questo metodo di costruzione della pace nel cosiddetto “Discorso della montagna” (le Beatitudini), che “è anche un programma e una sfida per i leader politici e religiosi, per i responsabili delle istituzioni internazionali”. Tuttavia Francesco riconosce, di riflesso, che questa via della nonviolenza da Gesù percorsa “fino alla fine, fino alla croce”, non è sempre stata seguita dai suoi discepoli e dalle Chiese lungo la storia. Per esempio – aggiungiamo noi –, nel Novecento devastato da due guerre mondiali, due testimoni della nonviolenza, come don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani, hanno dovuto lottare con una tradizione ecclesiale italiana in cui anche solo il termine nonviolenza era sospetto, se non eretico. Molti cristiani e non poche Chiese del Novecento hanno riscoperto il nucleo nonviolento del Vangelo grazie a figure non cristiane, come il Mahatma Gandhi nella liberazione dell’India. Papa Francesco cita anche Khan Abdul Ghaffar, il “Gandhi musulmano” del Pakistan. È proprio vero che l’evangelizzazione è un processo di andata e ritorno! Quanto i cristiani devono ancora imparare dal satyagraha (forza della verità) di Gandhi!

La nonviolenza, continua il papa, non è nemmeno “un patrimonio esclusivo della Chiesa cattolica”, come testimonia l’indimenticabile esempio di Martin Luther King contro la discriminazione razziale, quindi è un bene ecumenico. Tra le righe possiamo cogliere l’invito ad adottare la strategia della nonviolenza anche tra i cristiani divisi. Una menzione speciale Francesco riserva poi alle donne del Sud del mondo, spesso leader di nonviolenza, come Leymah Gbowee e migliaia di donne liberiane, “che hanno organizzato incontri di preghiera e protesta nonviolenta ottenendo negoziati di alto livello per la conclusione della seconda guerra civile in Liberia”.

Tutto il messaggio poggia, però, su quella primaria e fortissima scelta, a cui Francesco chiama e richiama ogni cristiano: seguire Cristo, “fino alla fine, fino alla croce”. È un ritorno alla sorgente anche per la tradizione diplomatica della Santa Sede, un ritorno a quel “pagare di persona” che fa di Cristo una figura drammaticamente moderna, un autentico nonviolento ante litteram. Non stupisce allora che papa Francesco abbia scelto la nonviolenza per la cinquantesima Giornata Mondiale della Pace. Stupisce, semmai, che ci si sia arrivati dopo cosi tanti lustri.



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