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Marie-Dominique Chenu: Concilio, messaggio al mondo

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Marcel Chenu nasce a Soisy-sur-Seine il 7 gennaio 1895. Entra nell’Ordine Domenicano col nome di Marie-Dominique. Insegna storia delle dottrine a Le Saulchoir. Dal 1927 al 1934 dirige la Revue des sciences philosophiques et théologiques e nel 1930 fonda a Ottawa l’Istituto di studi medievali. Dal 1933 collabora con la Jeunesse ouvrière catholique (Joc) e si interessa sempre di più della teologia pastorale e del rinnovamento della Chiesa nel mondo contemporaneo, partecipando anche alla Mission de France. Con il libro Una scuola di teologia – Le Saulchoir cerca di orientare in tal senso la teologia, adottando il metodo della ricerca storica. Nel 1942 il S. Uffizio condanna quest’opera e Chenu deve abbandonare l’insegnamento. Dirà in seguito: “Se sopportai senza complessi, con libera obbedienza, il biasimo pronunciato allora dal S. Ufficio, è perché l’arcivescovo di Parigi, il card. Suhard, mio ordinario, per temperamento poco progressista ma di sottile discernimento, mi fece convocare per dirmi: ‘Non si dia pena, petit père (mi chiamava così), tra vent’anni parleranno tutti come lei”. Sostenitore dei “preti operai” e accusato di marxismo, fu ridotto al silenzio e all’esilio a Rouen. Il clima creatosi col pontificato di Giovanni XXIII gli consentì di riprendere il suo lavoro. È morto a Parigi l’11 febbraio 1990.

UNA VITA CHE “SI RISOLVE IN PARTECIPAZIONE”

Il Vaticano II vide Chenu consulente di un suo ex alunno, mons. Rolland, vescovo del Madagascar, e di altri vescovi africani. Il Concilio fu per lui un kairos perché egli potesse gettare nella massa il lievito delle sue intuizioni e delle sue prospettive teologiche. Per quanto dal di fuori, egli vive il Concilio come il suo ambiente. Le occasioni di partecipazione interna saranno la proposta e l’elaborazione del “Messaggio al mondo”, la presenza nel gruppo di lavoro sugli schemi De fontibus, De Ecclesia e Gaudium et spes. I suoi interlocutori preferiti sono quelli della Chiesa dei poveri, del sottosviluppo, della riforma sociale ed ecclesiale, delle Chiese orientali, quelli appunto della periferia. Dopo il Concilio continua la sua opera di interprete appassionato del Vaticano II, diffondendone attivamente lo spirito.

IL CONCILIO PRIMA DEL CONCILIO

Senza dubbio, l’evento che convoglia prima e ispira poi tutte le sue molteplici esperienze è il Vaticano II: egli vive, per molti versi, “il Concilio prima del Concilio”, in quanto profeta dell’apertura della Chiesa al mondo, del Vangelo nella storia, dell’impostazione pastorale della teologia e della vocazione missionaria della Chiesa intera! Tracciando un suo itinerario interiore nel 1981 (cfr. Koinonia 2/1990), egli scrive: “La comunità si costituisce più rapidamente attraverso la comunione e la trasmissione della fede, che per mezzo di un apparato autoritario e magisteriale che ne costituirà in seguito l’architettura visibile”.

E se Congar, K. Rahner e altri hanno rappresentato la teologia nel Concilio quanto a contenuti, Chenu ha espresso teologicamente il Concilio come evento. Il suo interesse non era di semplice addetto ai lavori, ma nasceva dalla sua passione di teologo-storico del Popolo di Dio, dalla sorpresa del profeta riprovato, che vedeva finalmente ascoltata e riconosciuta la sua voce. Dice mons. Rolland: “Qual’è la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo? In che senso essa deve rinnovarsi, che procedimenti deve adottare per poter adempiere alla propria missione? Ecco gli interrogativi che preoccupavano più di ogni altro questo teologo al Concilio“.

La sintonia profetica di Chenu con l’evento conciliare appare fin dal gennaio 1959 – mese in cui fu indetto il Concilio – quando su Vie Spirituelle prefigura il processo di “aggiornamento” e il passaggio da una Chiesa che si costruisce nella nostra immaginazione e nei trattati di teologia come atemporale, ad una Chiesa che si incarna nella storia: ciò porterà poi alla visione della storia della salvezza nel segno dell’incarnazione. Nel 1961, in un convegno di Informations catholiquessul futuro Concilio, Chenu tratta un tema – La fine dell’era costantiniana – che farà parlare poi di fine della cristianità, di svolta epocale: ma la distinzione tra cristianità e Chiesa va fatta urgentemente valere in un mondo le cui dimensioni umane oltrepassano da ogni parte i confini dell’Occidente e la cui storia ci conduce decisamente fuori della cristianizzazione.

Ecco come Chenu arriva ad esprimersi in vista del Vaticano II: “Il Concilio dovrà porre il problema della Chiesa, il problema della fede, adeguatamente al mondo, a questo mondo ammirevole e terribile del 1960”. Questa Chiesa potrà ritrovare se stessa, più che attraverso una riforma programmata, “diventando radicalmente ‘missionaria’, missionaria in un mondo nuovo”;

diventando meno costantiniana ed occidentale, per potersi rivolgere “a quelli che sono lontani”.

IL CONCILIO COME “MESSAGGIO AL MONDO”

In questa prospettiva, Chenu si fa promotore, pochi giorni dopo l’apertura, del “Messaggio del Concilio al mondo”, che darà un orientamento veramente “missionario” all’intero Vaticano II. Scriverà in seguito: “Era buona cosa che prima di entrare in una riflessione analitica dei problemi interni della Chiesa per questo ‘aggiornamento’, il Concilio proclamasse il senso generale della sua opera, in linguaggio comprensibile agli stessi non credenti, che non possono entrare nei dettagli delle preoccupazioni ecclesiali” (“Il messaggio del Concilio al mondo”, in La Parole de Dieu, II, p. 640). Chenu si rivela un interprete eccezionale del Concilio.

Secondo lui, provocata da questo evento, la Chiesa prende coscienza di diventare essa stessa un messaggio vivente del Vangelo, nella rinuncia ad ogni forma di potere.

Per la prima volta nella storia la Chiesa è radunata non per difendersi da minacce interne o da attacchi esterni, ma per ripensarsi globalmente, per riscoprire la propria costituzione: nella sua origine (Dei Verbum), nel suo organismo (Lumen gentium), nella sua vita interna (Sacrosanctum concilium), nella sua presenza attiva nel mondo (Gaudium et spes). Il Concilio per ciò va visto più come risveglio evangelico e presa di coscienza della situazione che come insieme di definizioni e decreti.

Il Concilio cioè è stile di vita, prima che codice di comportamento, sensibilità e mentalità prima che testo e lettera: stile di vita evangelica in ordine alla evangelizzazione. “La testimonianza del Vangelo, scrive Chenu, è il senso profondo della Chiesa e questa è una riproposizione dell’evangelismo. Ogni volta che la Chiesa si rinnova, ritorna al Vangelo e questo è evangelismo: cioè il Vangelo è la sostanza della Chiesa, il resto va bene ma come conseguenza...

La Chiesa non è prima una struttura, è prima una ispirazione. Una volta di più come storico osservo che il rinnovamento della Chiesa si presenta come ritorno al Vangelo” (in Bozze ‘79, 2/1979, pp. 29-30)


LA TESTIMONIANZA DI MONS. ROLLAND

Nella testimonianza di mons. Rolland ci è dato di capire uno dei segreti della sua inesauribile vena missionaria: “Chenu ha sempre risvegliato le coscienze. Così è stato a Le Saulchoir per tutta una generazione di giovani frati predicatori, così è stato a Parigi soprattutto fra i laici, così si è dimostrato a Roma al Concilio. Qui ha dovuto trovare nel suo lavoro una grande soddisfazione perché tutto un orientamento teologico per il quale aveva da tanto tempo speso le sue forze, trovava un esito fruttuoso e un riconoscimento negli stessi lavori del Concilio”.

Non è fuori luogo dire che Chenu rimane l’ispiratore e l’interprete del Vaticano II: nel suo valore di “magistero pastorale”, quanto al primato del Popolo di Dio e alla lettura dei “segni dei tempi”. E in un tempo in cui la Chiesa, anche in versione conciliare, sembra essere tornata a misurare tutto su se stessa, non possiamo lasciar cadere la sua voce profetica, che la provoca al confronto col Vangelo e con la storia! Se davvero si riconosce e si vuole missionaria! E se è vero che “di Chenu ne nasce uno ogni secolo”, è bene far tesoro della testimonianza di questo apostolo.



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