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LA FILOSOFIA IN PROSPETTIVA AFRICANA / LA FILOSOFIA AFRICANA MADRE DI TUTTE LE FILOSOFIE?

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“Storicamente parlando, la filosofia africana è la madre di tutte le filosofie” (p. 25). È questa in estrema sintesi la tesi di fondo sostenuta a più riprese nel volume di Barthélemy Kabwana Minani, saveriano africano, docente di etica all’Università Cattolica del Mozambico. 

L’opera si presenta come un’agile presentazione dei tratti salienti della filosofia antica: dopo una breve presentazione di cosa sia la filosofia, si procede con una carrellata veloce, ma non superficiale dei principali autori, dai presocratici a Socrate, ai due giganti Platone e Aristotele, alle scuole ellenistiche, fino ad arrivare alla rivoluzione cristiana e a Sant’Agostino. 

Il tratto tuttavia originale dell’opera non è certo in questa presentazione degli autori, abbastanza consueta nei suoi tratti essenziali, bensì la tesi che intreccia il libro: quella di un’ascendenza africana della filosofia. Sono due dunque i poli che attraversano il volume: da un lato una presentazione essenziale degli autori, dall’altra la tesi di fondo che appare all’inizio, viene ripresa qua e là e riaffermata in sede di conclusioni. L’intreccio tra i due poli non sempre è equilibrato e talvolta le due trame appaiono giustapposte.

Tuttavia la tesi di fondo è interessante e merita attenzione: l’autore, da un punto di vista non occidentale, ha il coraggio di porre in questione l’origine della filosofia, dato praticamente acquisito e scontato per noi europei, per i quali la filosofia è nata in Grecia. L’autore invece fin dall’inizio mette in evidenza come a suo avviso si possa dire che alle origini della filosofia greca ci sia la filosofia africana, in particolare la filosofia radicata nell’antico Egitto. Egli nota come il riferimento all’antica sapienza dell’Egitto sia citata da Erodoto e da Giamblico a proposito di Pitagora, che da lì avrebbe attinto, da Proclo a proposito di Talete, e perfino da Platone a riguardo dell’aritmetica e della geometria che avrebbe imparato da sacerdoti egiziani.

Il volume presenta una veloce ricostruzione della cosmogonia egiziana: le acque primordiali, la ragione universale, le coppie divine, l’Essere inteso come eterno, ma in continua trasformazione. La sintesi ultima della filosofia “africana” è presentata nella formula “noi siamo, dunque io sono”, che esprime il primato del gruppo sull’individuo (p. 38).

Il riferimento ai pensatori africani torna a proposito dell’età cristiana. Qui l’autore dà spazio a tre correnti che si sono diffuse a partire da autori radicati ad Alessandria d’Egitto: il platonismo ebraico di Filone d’Alessandria, il platonismo cristiano di Clemente alessandrino, il neoplatonismo pagano dell’egiziano Plotino. Infine l’ultimo autore trattato è un grande africano come Sant’Agostino di Ippona.

Indubbiamente la tesi coglie qualcosa di vero: lo sguardo di un africano permette di cogliere come le radici della filosofia siano effettivamente più complesse e sotto più aspetti intrecciate con la sapienza egizia. È importante dinamizzare convinzioni troppo a lungo consolidate e rendere più fluidi processi fossilizzati e dati per scontati.

Tuttavia sorgono alcune domande leggendo il testo: la sapienza dell’antico Egitto è la stessa cosa della sapienza africana? Le relazioni culturali e commerciali forse non ponevano l’antico Egitto molto più nell’orbita della Grecia che in quella dell’Africa come oggi la intendiamo? La presentazione della sapienza egiziana attraverso la cosmogonia permette certamente di individuare analogie con la filosofia, ma non si tratta forse ancora di mitologia e saggezza tradizionale, fatta di racconti e di poesia? L’età cristiana ha certamente visto importanti autori alessandrini, quindi “egiziani”, ma si trattava di un’epoca definita “ellenistica” proprio perché l’Egitto e il medio oriente erano inclusi in una realtà culturale ampia e grecizzata: certamente i processi non sono mai unilaterali, ma è possibile distinguere nell’ellenismo ciò che è africano/egiziano e ciò che è greco? Lo stesso dicasi per Agostino, certamente africano (del Nord), ma anche sicuramente latino e romano, nonché conoscitore della filosofia neoplatonica ed ellenistica. L’impressione è di una certa disinvoltura nei passaggi tra ciò che è dell’antico Egitto, ciò che è africano, ciò che è alessandrino-ellenistico.

La cultura e la storia umana sono un grande processo di continua interazione e integrazione e fare distinzioni etniche può risultare artificioso. Indubbiamente il volume aiuta a mettere in movimento il pensiero e a vedere la filosofia e la sua origine da una prospettiva meno tradizionale, riconoscendo che anch’essa forse è, fin dall’inizio, il risultato di molteplici influssi, anche “africani”. E, forse, lo sarà sempre più nel futuro.



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