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L’OSPITALITÀ DIVINA E LA FRATERNITÀ UMANA / L’ALTRO NEL DIALOGO ISLAMO-CRISTIANO

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La quantità dei titoli dedicati al dialogo interreligioso non sempre equivale alla loro qualità. Anche se con le migliori intenzioni si rischia spesso di banalizzare un argomento complesso e delicato. Esistono certamente tomi in cui la materia è approfondita, ma restano appannaggio di specialisti e quel che può mancare o restare deficitario è quello che ci permettiamo di definire il “sacramento della relazione”, insito nella natura di ogni vivente, uscito dalle mani del Creatore irriducibilmente diverso eppure necessariamente complementare. Per questo Adamo dovette sentirsi solo per accogliere la propria compagna, un “aiuto che gli fosse simile”, non reperito nella pur innumerevole e variegata congerie delle altre creature. Il termine con cui è mal reso quel “simile” significa piuttosto “che gli stesse di fronte e contro di lui”. Ossia un faccia a faccia di esseri di pari dignità, che possono avere rapporti di in-contro, ma anche di s-contro: due facce ineliminabili della stessa moneta, attraverso le quali il fine è certamente un’armonica sinfonia che arricchisce entrambi. Questo volume, scritto a quattro mani da un maronita e da una musulmana libanesi, maturato in anni di vera condivisione di un percorso intellettuale ma anche di numerose iniziative di concreta collaborazione nel “paese dei cedri”, apre finalmente nuovi orizzonti.

Grazie alle domande che ciascuno pone a se stesso, prima ancora che all’altro e da questi si lascia interrogare per infine rivolgersi alle rispettive “rivelazioni” carico di interrogativi legittimati e resi cruciali dal loro essersi lasciati coinvolgere in una prospettiva non scontata.

Entrambi gli autori tengono in dovuto conto le interpretazioni che si son susseguite e a lungo imposte nei rispettivi campi, non meno delle più recenti più aperte a nuovi orientamenti, senza però trattenersi dal rilevare l’isolamento di talune in ambito islamico e la scarsa efficacia pratica delle pur ufficiali sollecitazioni di molti documenti della Chiesa Cattolica.

L’antico pluralismo confessionale del Libano, la straziante memoria di una non lontana guerra civile e dei suoi orrori, insieme all’impegno condiviso per uscire dalla crisi che il paese sta attraversando donano a queste pagine un’intensità ch’è raro trovare in altri testi sul medesimo argomento.

Non si tratta d’ingenue o ireniche considerazioni. Le irriducibili differenze restano e vengono affrontate e rispettate, ma attraverso un approccio anche teologico e basato sulle fonti compulsate con acribia, senza però rinunciare a trovarvi anche novità incoraggianti, proprio perché rilette con occhi nuovi.

Il punto di partenza sono le domande da fare a se stessi, ancor prima che agli altri. Di risposte precostituite e paralizzanti ce ne sono fin troppe e pure a queste si fa spesso riferimento, non tanto per contestarle quanto per superarle. Andare “oltre” e compromettersi con “altro” è in fondo l’attitudine di ogni genuina esperienza umana.

Il Dio dei vivi, non dei morti – d’evangelica memoria – irrompe così nuovamente nell’agone dei dilemmi in cui ci dibattiamo. Si rivela nel ricordo di una comune origine e nella prospettiva di un destino condiviso. La sua ospitalità prelude a una possibile, benché sempre precaria, fratellanza tra di noi. Anche le divisioni interne alle singole religioni restano lo scandalo più insopportabile proprio perché è assai arduo che chi non sa viere coi suoi simili possa porsi in modo diverso da chi appartiene ad altre “parrocchie”.

La dimensione storica viene tenuta in debita considerazione, senza però ritenerla qualcosa che sarebbe destinato a ripetersi all’infinito nelle sue periodiche chiusure, quanto piuttosto a svilupparsi ancor più ampiamente prendendo le mosse dalle sue pagine migliori.

Riassumere anche per sommi capi le sane provocazioni di queste pagine non sarebbe possibile se non in forma rapsodica e riduttiva. Ci limitiamo a raccomandarne una lettura attenta e disposta a lasciarsi mettere in discussione. Gli esiti non sono garantiti, appunto per la dismisura della divina misericordia costantemente richiamata, che ciascuno deve invocare anzitutto per se stesso, mettendosi fianco a fianco con gli altri esseri umani e riconoscendosi pellegrino più carico di domande che detentore di risposte, lungo il medesimo cammino che dalla stessa misteriosa origine ci conduce al destino in cui “tutto sarà bene”.



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