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L’ITALIA “MINORE” IN CERCA DI NUOVE SOLUZIONI POLITICHE E… PASTORALI

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Ringraziamo Daniele Gianotti, vescovo di Crema, che negli ultimi due anni ha firmato la rubrica “Ultima di MO”, e diamo il benvenuto al 56enne arcivescovo di Lucca, Paolo Giulietti, cui passiamo il testimone per l’anno 2020. Nato a Perugia nel 1964. Giulietti è stato vescovo ausiliare di Perugia-Città della Pieve dal 2014 al gennaio 2019. Ha diretto il Servizio nazionale per la pastorale giovanile della CEI.

Nel 2019, secondo il Ministero dell’interno, sono sbarcati in Italia 11.471 migranti. Nel 2018, d’accordo con il Rapporto della Fondazione Migrantes, oltre 128mila concittadini hanno lasciato il paese per destinazioni europee (le più gettonate, secondo l’Istat, sono: Regno Unito, Germania, Svizzera, Francia e Spagna) ed extraeuropee confermando un trend in costante crescita. Negli ultimi 15 anni quasi due milioni di persone hanno abbandonato il Mezzogiorno per trasferirsi al Nord; nel 2017 sono state 132.187, di cui, secondo Svimez 2019, 66.557 giovani, per un terzo laureati. Il tasso di urbanizzazione, che oggi, stando ai dati Istat, si attesta intorno al 75 per cento (popolazione che risiede nei grandi e medi centri), sarà destinato a crescere, con il conseguente abbandono delle zone interne e rurali. Nel 2018 il tasso di fecondità ha toccato il minimo storico di 1,29 figli per donna (immigrate comprese) e il saldo demografico, cioè la differenza tra nati e morti (immigrati compresi), è risultato negativo per oltre 193mila unità; anche qui, secondo l’Istat, confermando una tendenza e segnando un record.

Quali numeri, dunque, ci dovrebbero preoccupare? È evidente come, nonostante l’enfasi mediatica riservata al primo fenomeno, gli eventi migratori e demografici destinati ad avere maggior impatto sulla realtà sociale dell’Italia sono senz’altro quelli interni; essi, infatti, prefigurano, nel quadro di un generale invecchiamento della popolazione, un particolare impoverimento di alcuni territori. Non a caso i vescovi di alcune diocesi campane hanno indirizzato agli amministratori locali una lettera intitolata Mezzanotte del Mezzogiorno?, per richiamare l’attenzione sul fenomeno e chiedere un’inversione di tendenza, anche attraverso la convocazione di un “Forum degli amministratori campani”, tenutosi a Benevento nel giugno scorso.

La situazione critica di alcuni territori rurali e interni della penisola ha anche importanti conseguenze sul piano pastorale, poiché le comunità – disperse in zone poco accessibili, ridotte di numero e private di forze giovanili – pongono grossi problemi a un’azione pastorale efficace. Infatti, al di là della difficoltà di offrire anche i servizi liturgici essenziali (celebrazioni domenicali, esequie…), risulta oneroso proporre attività di evangelizzazione, formazione, aggregazione e carità: le distanze e i piccoli numeri costituiscono ostacoli a volte insormontabili. Per non parlare, poi, delle problematiche amministrative, relative a patrimoni spesso notevoli per valore storico-artistico e consistenza, ma che le comunità fanno grande fatica a mantenere e gestire.

Tutto ciò rischia di generare nei fedeli la sindrome dell’abbandono, per cui si reagisce con durezza a qualsiasi tentativo di razionalizzazione e riorganizzazione, visto spesso come sottrazione di “servizi” liturgici a chi ne ha già pochi; nei pastori, invece, può nascere la convinzione di ritrovarsi a gestire – con un impegno assai gravoso – l’estinzione delle comunità, per le quali non si riesce ad immaginare un futuro.

Alcune diocesi hanno affrontato il problema nel recente passato (ad esempio, Modena ha organizzato nel 2003 un “Convegno diocesano sulla montagna”; Bologna ha promosso nel 2010-11 un “Piccolo sinodo della montagna”). Esso necessita tuttavia di un’ulteriore riflessione, che faccia proprio un approccio multidisciplinare, prendendo in considerazione in modo complementare i diversi aspetti della questione. C’è infatti una correlazione tra andamento demografico, situazione economica, problematiche sociali e ambientali e questioni pastorali. La riflessione va pertanto partecipata con diversi soggetti, istituzionali e sociali, i quali condividano il medesimo interesse per la rivitalizzazione del territorio.

Nonostante le comunità interessate rappresentino una quota minoritaria della popolazione (anche se non del territorio), tale sfida va accolta per una serie di ragioni, dal contrasto a una pericolosa “cultura dello scarto” che tende a disinteressarsi dei cosiddetti “rami secchi”, fino alla considerazione del patrimonio di fede e cultura di cui le piccole comunità sono custodi, vere riserve di biodiversità antropologica e religiosa.

Il recente Sinodo sull’Amazzonia, da questo punto di vista, ha presentato alcune interessanti analogie con la situazione delle aree rurali e interne d’Italia. Le conclusioni che saranno offerte alla Chiesa potranno offrire motivazioni e spunti a una rinnovata riflessione sul tema, tra i numerosi capitoli della “conversione pastorale” cui le Chiese in Italia sono chiamate.



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