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L'Abbè Pierre. Cinque anni dalle grandi vacanze

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1912-2012 / Centenario della Nascita

“Amici miei, ho deciso di andare in vacanza. Non ho preso vacanze dall’inverno del ’54. Durante la mia assenza, per piacere innaffiate le piante e soprattutto occupatevi dei poveri. Che ci siano ancora degli indigenti nel 2007, è inammissibile. Continuate a lottare per loro, sennò mi sentirete”.

Il 25 gennaio 2007 eravamo in più di tremila, al Palazzo dello Sport di Parigi-Bercy, ad ascoltare questo messaggio, proveniente dall’aldilà, di un personaggio fuori del comune, anzi del suo pupazzo, che a volte, come scrive Denis Lefèvre nel libro Tutte le sfide dell’Abbé Pierre, sembrava più vero dell’originale. Erano presenti compagnons, amici, responsabili delle comunità Emmaus della Francia, dell’Italia e del mondo intero, compagni di strada e diverse celebrità: attori, politici e una folla di anonimi, uniti dalla straordinaria fede che l’Abbé Pierre riponeva nell’essere umano. Chiunque esso fosse.

PER E CON TUTTI GLI ESSERI UMANI

“Per l’Abbé Pierre, ogni persona custodisce un tesoro in fondo a sé. È la più bella fede che possa esistere” dirà quella sera Jacques Delors, ex presidente della Commissione europea. La fede nell’uomo dell’Abbé Pierre era intimamente legata alla sua fede in Dio. “Se si colpisce l’uomo, si colpisce Dio”. Questa sua certezza fu la costante delle sue sfide per e con l’uomo, per e con tutti gli esseri umani, in primo luogo per e con i più sofferenti, i sans-papiers, i senza tetto, i senza ideale, i senza famiglia, gli affamati di pane e di amore. “Un solo innocente maltrattato davanti a noi o che vede i suoi diritti maltrattati mentre i nostri cuori restano inerti, senza passione, è sufficiente a rendere immondo l’universo intero”.

L’Abbé Pierre non si accontentava di indignarsi. Passava subito all’azione. A dispetto della malattia e della fatica non abbandonava mai nessuno. Soprattutto mai veniva meno all’amicizia. Questo fu evidente nel caso di Garaudy, in cui rischiò, pur di non venir meno all’amicizia e senza aver letto il libro dello scandalo, di buttare all’aria, specie in Francia, tutta la sua “fama”, la stima che godeva nell’opinione pubblica. E noi in Italia ne fummo testimoni nel periodo in cui visse, segregato dal mondo, presso l’abbazia di Praglia, dove, comunque, un fotografo si infiltrò con la sua telecamera in una festa di matrimonio, sperando di “pescarlo” nei corridoi del monastero.

Ed il valore della fedeltà all’amicizia, lo spinse ad aiutare un amico di Emmaus, pur sapendo che l’aiuto sarebbe servito per una causa contro Emmaus. Se quella per l’alloggio è la più emblematica e conosciuta delle battaglie dell’Abbé Pierre, non possiamo dimenticare, però, tutte le altre: per la libertà e contro il nazismo, in seno alla Resistenza, le lotte politiche, come la battaglia per uno statuto francese dell’obiezione di coscienza o, all’interno del Partito cristiano-democratico (nel quale l’Abbé ha militato) per far udire la voce degli operai, e poi le battaglie per l’Europa, per una globalizzazione che rispetti le persone, contro la fame nel mondo e per il ben-essere dei popoli, le lotte internazionali su quattro continenti per restituire dignità a quanti sono stati gettati dalle circostanze sul ciglio della strada.

E ancora, battaglie per tirar fuori dalle galere di Pinochet i compagnons torturati, battaglie a favore dei resistenti iraniani, per aiutare i bengalesi nella guerra e alle prese con le catastrofi naturali oppure per salvare una famiglia di contadini guatemaltechi, battaglie per far uscire Vanni Mulinaris, accusato di terrorismo, tenuto per un troppo lungo periodo di detenzione provvisoria nelle galere italiane. Senza dimenticare la lotta per una Chiesa che sia davvero la Chiesa dei poveri, o meglio ancora, una Chiesa povera.

LA PENNA NELLA PIAGA

Il suo impegno in Parlamento per combattere prima di tutto le cause della miseria, il suo coraggio di mettere “la penna nella piaga” con la rivista Faim(s) &Soif(s), i suoi viaggi intorno al mondo per una maggiore giustizia: Stati Uniti, con la visita alla Casa Bianca ed il soggiorno trala miseria e la violenza di Harlem presso una Comunità Emmaus; Svezia, con la scoperta della “noia” dei giovani ricchi; India, con gli incontri di Madre Teresa, Nehru, Vinoba e la visita al Centro Savar in Bangladesh; Giappone, con il suo “villaggio delle formiche” alla periferia di Tokyo. E, ancora, l’America latina: le favelas e l’amicizia con mons. Helder Câmara, le villas miseria del gesuita José Balista in Argentina; le urracas cilene “con amore e buon umore”; il Canada ove, per aver criticato il lusso eccessivo in cui viveva il clero, risultò “persona non grata”; e poi l’Africa di Albert Schweitzer, dei monaci di Tibhirine, dei disabili del Ruanda, dei “fabbri” del Burkina Faso, dell’aiuto alla transizione democratica in Benin, di difensore dei diritti umani, in particolare contro la Parigi-Dakar e la Marsigliese, e poi ancora la Bosnia per riavvicinare i popoli e poi e poi… senza dimenticare il mondo del cinema, in particolare l’attore Lambert Wilson che cercò di interpretare l’Abbé nel film “Hiver ‘54” (Inverno ’54). Vi riuscì abbastanza bene e gli “costò” la conversione ed il battesimo.

Mi accorgo che potrei continuare all’infinito con citazioni e commenti. Trovo una frase per finire. È di Renzo Fior, presidente di Emmaus Italia, nella presentazione del libro. Eccola: “E gli altri? Nella storia dell’Abbé Pierre e del Movimento Emmaus, questo grido è sempre stato presente. Ripetuto all’infinito, in tutte le lingue. E gli altri? Perché non solo qui, ma in tutto il mondo, ognuno abbia il suo posto.

E gli altri? Senza differenza di razza, di religione, di opinione, perché ciascuno abbia il suo posto”.


Un destino veramente eccezionale

La vita non è un sogno né una programmazione umana”, diceva spesso. “È più un assenso che una scelta. Si sceglie così poco!”. E lui lo poteva dire con cognizione di causa. Il Signore sembra si sia “divertito” a condurlo a fargli fare, spesso, il contrario di quanto aveva scelto. Voleva essere monaco, il Signore lo chiamò alla vita attiva, alla resistenza partigiana, all’impegno politico. Voleva costruire un albergo internazionale della gioventù, il Signore lo condusse ad aprire una comunità Emmaus e poi tante altre nel mondo, per accogliere gente piena di tutte le miserie. Sperimentò di persona, come la sola libertà dell’uomo sta nel tenere la vela tesa al “vento dello Spirito”.

Pochi uomini hanno vissuto il XX secolo così intensamente come l’Abbé Pierre. L’aver saputo tenere la vela tesa lo portò ad essere un monaco e un formatore, un partigiano e un deputato, un agitatore sociale e il fondatore di un movimento internazionale, un confidente dei più umili come dei più grandi, un creatore geniale e un mediocre organizzatore, un bravo fotografo e un comunicatore formidabile, un globe-trotter che ha fatto più volte il giro della terra e un mistico, innamorato della poesia, delle stelle e di Dio. Ricordava spesso il momento della sua ordinazione presbiterale. Il 24 agosto 1938. “Padrino” fu il gesuita padre de Lubac, che sarà poi uno dei grandi teologi del Concilio Vaticano II. Gli aveva detto: “Domattina, quando sarà prostrato sul pavimento della cappella, faccia una sola preghiera allo Spirito Santo. Gli domandi di concederle l’anticlericalismo dei santi”.

Anche per questo, forse, l’Abbé è stato un prete che non ha esitato a fustigare la gerarchia della Chiesa, meritandosi da Giovanni XXIII il titolo di suo “roveto ardente”,come non ha esitato ad essere un ribelle pronto a varcare i confini della legalità se pensava che la sua battaglia era giusta. Celebre resta la sua frase: “Piuttosto che i poveri muoiano legalmente, preferisco che vivano illegalmente”. È stato anche, e soprattutto, un uomo di grande spiritualità. Ricordo con viva commozione quando salivamo alle Carceri di Assisi. Percorrevamo insieme tutto il viale, ma arrivati in fondo, davanti al cancello si scusava e chiedeva di restare solo in ginocchio a rivivere quei momenti mistici di ragazzo che decisero il suo futuro. Infine, la celebrazione quotidiana dell’eucaristia era la sua fonte e la sua forza. L’Abbé fu tutto questo concentrato di valori e di sfide, di indignazione e di testimonianza, di umiltà e di potere. Il suo amico, il genetista Albert Jacquard, scrisse nel suo libro Il valore della povertà, che “la cosa più strana è che viene ascoltato, anche da quelli che hanno il potere”.

Lungi da me anche solo abbozzare di paragonarlo col santo di Assisi. Non lo apprezzerebbe di certo, specie se fatto da un amico! Anche se simili azzardi ci furono, e non pochi, da più parti. Sulla possibilità che l’Abbé possa essere stato un Francesco d’Assisi del XX secolo, l’autore del libro Tutte le sfide dell’Abbé Pierre, lascia il punto interrogativo. In compenso dedica quasi 400 pagine di approfondimenti e di documentazione su quanto questo “ribelle con una causa” ha saputo fare da un capo all’altro della terra. Con forza, provocazione, intelligenza, coerenza.


La straordinaria capacità di coinvolgere tutti

Ciò che mi ha impressionato e ha aumentato in me l’affetto, la gioia e la fierezza di far parte di quanto l’Abbé ha saputo mettere in piedi, è la modalità con cui ha operato fin da quando, deputato al Parlamento, occupava le ore libere dagli impegni politici, arrampicandosi su di una scala per riparare la casa che aveva acquistata per trasformarla in albergo internazionale per i giovani d’Europa; la sua capacità di coinvolgere le persone, avanzi di galera o di università, gente analfabeta o Premi Nobel e la sua normale abilità di “muoversi” ugualmente bene nei tuguri dei poveracci e nei palazzi del potere.

Ed un’altra cosa ancora: quella di voler e saper mettere insieme persone ed esperti di diversa provenienza, cultura, formazione o credo politico e religioso.

Anche nella “sua” rivista Faim&Soif, che col tempo volle cambiare in Faims&Soifs, al plurale, convinto che non è per nulla unica la fame e la sete che gli uomini avvertono. Tutto questo mi fa ancor meglio capire ed apprezzare il valore del pluralismo Emmaus, coniugato con l’unico immenso fine del movimento da lui fondato: “Servire e far servire, per primi, i più sofferenti”. Nel libro, forse, non troviamo nulla di inedito. Troviamo però diversi avvenimenti della vita dell’Abbé, presentati in modo inedito, più compiuto e documentato. Fatti, aneddoti ed altro della vita di questo grande ribelle li conoscevamo attraverso le sue numerose conferenze in Italia ed altrove o dai non pochi libri pubblicati in Italia, specie di interviste, quindi forzatamente in modo succinto ed incompleto.

Nel libro di cui la EMI ed Emmaus Italia hanno curato l’edizione italiana, troviamo Tutte le sfide dell’Abbé Pierre in maniera più documentata e qualcuna anche inedita. Peccato che sia così troppo francese! Ma è fatto bene, quindi ne siamo fieri.



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