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Se il cinema è la “settima arte”, come ormai anche i più restii sono disposti ad ammettere, allora non c’è da stupirsi se a pochi anni dalla sua nascita esso abbia intrecciato la sua storia con i temi religiosi e, in particolare, con quelli missionari. Come in altri campi più tradizionali (letteratura, pittura, scultura, architettura), lo spirito religioso ha bisogno dell’arte per esprimersi e per portare il suo messaggio.

Ecco dunque la nascita del cinema “missionario, un piccolo ma ricco filone produttivo che ha interessato sia film, sia documentari. Alcuni istituti missionari hanno abbracciato presto la nuova arte, tra questi i saveriani sono stati dei precursori, impegnandovi alcuni dei migliori ingegni a disposizione.

Avviare oggi una riflessione sul ruolo prezioso che ancora possono svolgere film e pellicole (con la loro incredibile modernizzazione tecnologica) è forse inevitabile, in una società, come quella contemporanea, che si basa sull’immagine a tutti i livelli e proprio per questo è sazia, disincantata e smaliziata. Ma, forse, ancor più s’impone la domanda su quali temi, personaggi ed esperienze basarsi nell’offrire allo spettatore una storia che sia raccontata in maniera professionale e di livello qualitativo elevato.

Riusciranno i missionari a “bucare” schermi e video e a far giungere ancora il loro messaggio?

C’è da augurarselo: sarebbe davvero un peccato se il fascino delle vecchie pellicole dovesse svanire definitivamente, archiviate negli schedari della storia del cinema, senza essere rimpiazzate da nuove, dinamiche, coraggiose opere al servizio del messaggio evangelico.



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