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Amazzonia dove non arrivano i medici brasiliani

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Edson Damian, che si firma “pobre bispo do povo da floresta” (povero vescovo del popolo della foresta), ci scrive questa bella testimonianza sull’esperienza di cinque medici cubani a São Gabriel da Cachoeira, una delle diocesi più povere dell’Amazzonia brasiliana. A questa testimonianza aggiunge l’esperienza dell’incontro con papa Francesco di un suo amico brasiliano, p. Antonio Reges Brasil, direttore spirituale del Collegio Pio Brasiliano di Roma. Abbiamo avuto modo di incontrare mons. Damian l’anno scorso in ottobre a São Leopoldo, nello Stato di Rio Grande del Sud (Brasile) al Congresso per i 40 anni della Teologia della liberazione.

EDSON DAMIAN, São Gabriel da Cachoeira / Amazzonia / Brasile 9 ottobre 2013

  • Cari amici e amiche,

il 27 settembre p. Antonio Reges Brasil, mio grande amico del presbiterio de Pelotas, scelto come direttore spirituale del Collegio Pio Brasiliano (Roma), ha incontrato papa Francesco. Condividiamo l’emozione con cui ha vissuto questo gioioso e indimenticabile momento (vedi sotto, dopo la notizia dei medici cubani).

Ho appena offerto un pranzo ai cinque medici cubani venuti a presidiare i 20 ambulatori per gli indios di São Gabriel da Cachoeira. Due donne: Caridad (Nostra Signora della Carità è la patrona di Cuba e questa dottoressa è cattolica) e Wilma (ha già lavorato tre anni nello Stato di Tocantins). Tre uomini: Carlos Alberto, Carlos Henrique e Carlos Manuel.

Tutti esercitano la loro professione da oltre 20 anni. Simpatici, allegri, pieni di domande e aspettative, ansiosi di iniziare a lavorare presto. Una chiacchierata molto piacevole di oltre un’ora, mescolando portoghese e spagnolo. Tutti avevano letto il famoso libro di Frei Betto, Fidel e la religione, intervista a Fidel Castro che ha avuto molto successo in Brasile. E a Cuba, mi hanno detto.

Uno di loro ha letto anche La mosca azzurra [libro sottotitolato Riflessione sul potere in Brasile, in cui Frei Betto racconta la parabola politica del Partito dei lavoratori e la propria esperienza di consigliere del presidente Lula nel 2003-2004 – ndr].

Quando ci siamo salutati, Caridad mi ha chiesto un rosario. Gliene ho regalato uno insieme ad un volantino con la riproduzione di Nostra Signora Aparecida [patrona del Brasile – ndr]. Con mia sorpresa, anche gli altri ne hanno chiesto uno. Tanto che scherzando dicevo che sarebbe stato l’inizio della conversione di tutti. Dio li benedica e protegga, perché sono venuti dove i medici brasiliani non osano giungere. E molti, perfino, si sono sentiti in diritto di criticarli duramente, al punto da fischiarli quando sono arrivati all’aeroporto.

Un abbraccio fraterno con l’amicizia di sempre.


Papa Francesco un’attesa che sembra di secoli

  • P. ANTONIO REGES BRASIL Roma, 27 settembre 2013

Questo pomeriggio ho accompagnato mons. Jayme [Chemello, vescovo emerito di Pelotas, già presidente della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile – ndr] alla Casa santa Marta, dove ha avuto un incontro con papa Francesco, alle ore 16. Lasciando il Collegio, ho detto ai colleghi in portineria: “Resterò ad aspettarlo nei paraggi, non sia sa mai…”. Fatto sta che mentre aspettavamo (mons. Jayme, come sempre, è arrivato mezz’ora prima... e pensavo che qualcuno sarebbe venuto ad accoglierlo per portarlo non so dove, trattandosi di un’udienza privata), a un tratto il papa in persona, vestito di bianco, è entrato, così, senza segretario, senza cerimonie! Sono rimasto senza parole, mi sono alzato, bisbigliando “il Santo Padre!” e ho steso la mano, non sapevo se avrebbe baciato, dato un abbraccio, mio Dio, sorprende sempre! “Sono della diocesi di Pelotas, ora sto lavorando al Pio...”.

E lui, con calma: “Pelotas? Un mio zio viveva là, Bergoglio”. E a quel punto mons. Jayme era ormai riuscito ad alzarsi dalla sedia, lasciando cadere sul pavimento il sacchetto di plastica di un supermercato dove teneva alcuni messaggi per Francesco, e, una volta in posizione eretta, hanno cominciato a parlare. (In un momento come questo, come sento la mancanza di mio fratello Alemão! Mi viene da ridere solo pensando ai commenti che avrebbe fatto, che nostalgia).

Bene, mi sono scusato, sono andato nella hall ad aspettare, pensando a che cosa avrei detto al papa, se mi avesse fatto entrare al termine dell’incontro con mons. Jayme. Nulla di ciò che ho pensato è servito. Quando ha aperto la porta, mezz’ora più tardi, sono riuscito solo a dire, con entusiasmo (mi è uscito in spagnolo): “Quanto l’abbiamo aspettata! Quanto tempo l’abbiamo attesa!”.

Mi ha guardato, ho avuto la sensazione che si fosse emozionato anche lui. Ed è stato tutto quello che è uscito dal profondo dell’anima, dalle viscere, una “attesa” che sembra di secoli. Non è così? Mi sentivo di dirlo, in profonda comunione con tutti/e coloro che per molte generazioni hanno sognato un ritorno alla sorgente, senza battute d’arresto, senza artifici, pulito, vero, come Francesco, semplice, pulito, vero. “Benedetto il Signore, Dio di tutti gli umili e poveri, molti, molti, molti, perché ha amato e visitato il suo popolo! L’alleanza, l’Emmanuele, il definitivo Sì ha di nuovo un sacramento, una tenda in mezzo a noi”. Ci siamo stretti le mani tre volte, sembrava che non fosse ancora il momento di andare via. Nelle tre volte mi ha ripetuto: “Prega per me!”.

È stato molto bello, semplice, squisito! Niente foto, meno quelle degli occhi e della memoria, ma tutto è rimasto registrato nella coscienza con la luce e la forza di ciò che è autentico. Non posso andare a dormire senza condividerlo con voi.

Un grande, fraterno, felicissimo abbraccio! Buonanotte, sognate papa Francesco!



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