Dopo le “grandi speranze” del post '89 ci sono state le grandi delusioni: la fine della guerra fredda ha lasciato il posto a decine di guerre calde, gli arsenali si sono svuotati solo per lasciare il posto a nuovi sistemi d'arma più letali. I famosi “dividendi di pace” che sarebbero dovuti derivare dal blocco e dalla riduzione delle spese militari, sono stati utilizzati per progettare e sperimentare nuovi strumenti di distruzione di massa.
Eppure, davanti a questa poco edificante situazione, agli interessi economici costituiti, all'arroganza di un potere politico sempre più bellicoso, la vecchia talpa ha ripreso a scavare. Frastornata, sconcertata, costretta in un angolo, la voglia di cambiare dei popoli è riemersa. Ovunque. Si è ripresa il diritto alla parola, al progetto, al sogno di un mondo senza conflitti armati perché più giusto nella distribuzione delle sue risorse ed opportunità.
“Riconvertire” è la parola chiave: le coscienze individuali, gli interessi collettivi, i rapporti tra le persone, ma anche le famose ”leggi”dell'economia, i sistemi sociali, le strutture produttive. Un lavoro enorme ed entusiasmante del quale, con questo dossier , abbiamo voluto dare conto affrontando un suo aspetto tanto particolare quanto decisivo. Dentro la”guerra che ritorna” come forma di ridefinizione di nuovi equilibri geopolitici (Simoncelli), c'è chi non si è arreso davanti a questa sorta di inevitabile destino umano, elaborando un'economia “altra” (Pianta), nuovi strumenti istituzionali (Pagani), esperienze concrete di riconversione industriale (Alioti) anche come risultato di una nuova sensibilità sindacale (Tridente).
Sappiamo che il problema della pace non si riduce a questo, ma senza questo pezzo ogni altro discorso rischia di essere astratto e perciò perdente.
