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MITE È LA FORZA / UNA NUOVA BIOGRAFIA DI MADRE CELESTINA BOTTEGO A 40 ANNI DALLA MORTE

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In occasione del 40o anniversario della morte di Celestina Bòttego, le Missionarie di Maria-Saveriane hanno voluto affidare la rilettura della vita della loro madre e fondatrice “alla sensibilità di una donna laica per riscoprirla noi stesse in modo nuovo e permettere a un pubblico più vasto di conoscerne la ricca personalità e gli aspetti di maggiore attualità”. Lo scrive la direttrice generale, Giordana Bertacchini, nell’introduzione al bel libro di Rita Torti, Mite è la forza. Celestina Bòttego: la Sjorén’na di San Lazzaro Parmense, fondatrice delle Missionarie di Maria-Saveriane, appena pubblicato dall’EMI. Un racconto insieme intimo e corale, il cui titolo rende benissimo il carattere di Celestina: forte, aperto, dolce e determinato, instancabile ed insieme accogliente, tenero, docile all’ascolto, in particolare nel silenzio della preghiera. Sempre aperto alla riconoscenza e alla meraviglia per i doni del Signore.

La vita di Celestina Bòttego (1895-1980) è letta nel suo lento e paziente cammino per trovare, nella testimonianza di carità quotidiana, in ogni luogo della sua vita, la chiamata del Signore per capire come essere donna del “Tutto”. Rita Torti segue il cammino interiore di Celestina nel mutare dell’età e nei luoghi nei quali ha abitato, dagli Stati Uniti – dov’è nata – a San Lazzaro, in quella casa dei Bòttego che nel secondo dopoguerra, in seguito all’incontro con i Missionari Saveriani e al rapporto speciale con padre Giacomo Spagnolo, è diventata punto di partenza e di incontro di esperienze missionarie in tutto il mondo. Una vita aperta a capire e a testimoniare il Vangelo in ogni ambiente, un atteggiamento di continua ricerca basato sul criterio ordinatore della fiducia in Dio.

E qui il racconto di Rita diventa corale. La coralità del contesto storico e di quello ecclesiale – la pastorale di mons. Conforti, la spiritualità dell’abate Caronti, il protagonismo delle cattoliche nei primi decenni del secolo. E soprattutto la coralità delle voci di tante persone che hanno conosciuto Celestina, a cui l’autrice dà la parola: dalle scuole dove insegnava inglese (“era chiara e ordinata”“sempre cordiale e rispettosa”, “severa, ma mai sentita ad alzare la voce”) a donne e uomini, ragazze e ragazzi che aiutava nelle “case Bòttego”, all’Azione cattolica e alla parrocchia di San Lazzaro, dove il sostegno materiale si associava all’animazione liturgica, al primo annuncio, alla preparazione di bambini e adulti ai sacramenti. Condividendo gioie e sofferenze, consolando, rallegrandosi del bene degli altri come se fosse il suo, vincendo il male con il bene. La prossimità era il suo modo di stare al mondo, non solo con un’anima buona, ma con “un corpo che sa di sé e non teme il contatto con gli altri corpi, non fugge dalla ferita che il dolore degli altri inevitabilmente causa”, ma lo consola e quando può lo cura.

Ho trovato in queste pagine tanti aspetti della santità di Celestina. Ad esempio, “Quel tarlo della vita comoda” – in realtà una vita costantemente dedicata agli altri, con la casa sempre aperta a chi aveva bisogno (anche con molti rischi, specialmente durante la guerra) – che pian piano ha portato alla “scelta della povertà” nella condivisione comunitaria di una possibile nuova congregazione missionaria. Nella narrazione di Rita Torti sembra di rileggere il cammino di Francesco e Chiara nel cercare nella povertà la libertà piena del potersi donare totalmente. Ed è appassionante seguire le decisioni (anche molto conflittuali, soprattutto nella sua famiglia) che la porteranno dall’essere “la Sjoren’na” che aiutava tutti, anche economicamente, alla Madre che doveva chiedere aiuto per i tanti bisogni della nuova comunità. Un aiuto che era sempre associato a un lavoro e alla condivisione con chi aveva ancora meno di loro. Ho pensato alla Chiesa aperta, tutta missionaria e sempre “in uscita” ascoltando le parole di Celestina – “se non si è missionarie vicino a casa, sarà difficile esserlo in terre lontane” e leggendo del suo costante desiderio di imparare altre lingue e conoscere persone, mondi e culture, che si ritrova poi nell’attuazione dello spirito saveriano. Fra i tanti episodi raccontati nel libro ce ne sono alcuni indimenticabili, dall’abitudine delle porte aperte nella Casa di san Lazzaro (tradizione rimasta ben viva anche oggi), all’attenzione “sacra” alla natura, fino ai lunghi viaggi in nave che erano occasioni di incontro, dialogo, allegria – suonava per tutti la fisarmonica –, scuola di lingua e catechismo per chi emigrava.

mite è la forza

L’autrice del sempre attualissimo Mamma, perché Dio è maschio? racconta, della donna Celestina Bòttego, la scelta di non avere un marito né un convento, e poi, una volta diventata fondatrice delle Saveriane, il suo essere «una madre-educatrice e una madre-maestra spirituale sana, perché non cercava gratificazioni e non aveva vuoti da colmare, cioè non “aveva bisogno” di essere madre». Ma anche le difficoltà vissute a causa di una concezione degli ordini femminili missionari come dipendenti dai corrispettivi maschili e di una Chiesa sempre clericale anche nelle componenti più aperte e attente alle novità: “Celestina restava una donna e, anche se religiosa professa, una laica; padre Giacomo era un prete” (vedi tutto il bellissimo capitolo “Un aiuto che gli sia simile”). Con conflitti sempre vissuti nella parresia, nella sincerità e nella preghiera prolungata e assidua, che mi hanno fatto pensare alla Gaudete et exsultate, quando Francesco parla dello “stile femminile della santità, anche in epoche nelle quali le donne furono escluse, ma lo Spirito Santo ha suscitato in loro il fascino che ha provocato nuovi dinamismi spirituali e importanti riforme nelle Chiesa”. Celestina trascorreva lunghe ore in preghiera: «immobile, come trasportata in un’altra dimensione e certamente “parlando con Qualcuno”, “tanto assorta in Dio che dava voglia di imitarla”. Nessuna estasi, una totale profondità». Una sua preghiera terminava con questa invocazione: “Mio Dio prendi me e dammi Te”; sappiamo per certo che la vita santa di Celestina è stata immersa nello Spirito Santo e che continua a dare ancora i suoi frutti tra noi. Grazie a Rita Torti per averci reso con tanta passione e affetto una persona che ha camminato tra noi e che rimane fonte di ispirazione per la nostra vita.

*Già pubblicato nel settimanale della Chiesa di Parma “Vita Nuova” (14 giugno 2020).



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