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LA STRAGE DI PARIGI, È IL NOSTRO VUOTO CHE PRODUCE ODIO

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Intervista al sociologo Marco Revelli

  • In “Vita.it”, 10 gennaio 2015.

Ci è stato segnalata questa interessante intervista di Lorenzo Maria Alvaro concessa il 9 gennaio scorso dal sociologo Marco Revelli, più volte ospite delle iniziative di “Missione Oggi”. “Mentre a Parigi continua l’assedio per stanare i terroristi, scrive nell’introduzione L.M. Alvaro, l’Occidente prova a trovare un senso e delle risposte di fronte al massacro del Chiarlie Hebdo. Una coltellata nel cuore dell’Europa di fonte a cui viviamo una grande difficoltà a reagire e che ha scoperchiato una serie di quesiti inquietanti sulle stesse fondamenta della nostra civiltà”.

Partirei da un dato che ormai è evidente. Tutti gli attentati terroristici di matrice islamica che si stanno consumando in Europa, compreso quello di Parigi, vedono protagonisti cittadini europei, figli dell'Occidente che colpiscono le proprie comunità. Il problema dunque è da cercare nel mondo arabo o nel cuore della nostra civiltà?

Sì, è sempre più difficile immaginare che questa sia una guerra nel senso in cui è stata intesa normalmente. Come un'aggressione dall'esterno. Di un mondo che ci attacca. Mi pare che le biografie dei terroristi ci dicano che è qualcosa che sfugge all'idea del confine, di qualcosa che arriva da oltre confine. Ma è qualcosa che è nato e maturato al nostro interno. Non è neanche un rigurgito velenoso di barbarie che si scaglia contro la modernità. Perché le biografie di questi signori hanno attraversato elementi del post moderno. Alcuni sono stati nei circuiti dei nostri media, altri erano rapper altri ancora blogger. Hanno imparato la comunicazione attraverso i nostri linguaggi. È un grosso problema. Ogni volta che ci specchiamo in questo orrore vediamo una faccia spaventosa del nostro mondo. Costoro parlavano un perfetto francese, il poliziotto che hanno ucciso era un francese di origine araba come loro, a sua volta musulmano. Ha alzato una mano come per dire “ma perché?” e l'hanno freddato con una tecnica da corpi speciali, da esercito moderno, più che non di una tribù di una qualche periferie del mondo. Avevano un atteggiamento molto “metropolitano”.

Perché c'è così tanta gente oggi che cerca qualcosa che in Occidente non trova nelle fila di questi gruppi terroristici?

Qui si apre un abisso e ci addentriamo in questi ragionamenti. Da una parte verrebbe da dire che in questi aspetti si mostra uno dei volti tragici degli esseri umani. C'è una parte di umanità che ha voglia di uccidere prima ancora di trovare una causa per farlo. C'è gente che cerca la guerra, e se non c'è vicina la cerca lontana. Per l'ebrezza, il brivido. Come se l'esistenza senza ciò fosse vacua. Come se per riempire un vuoto ci fosse bisogno di un nemico e del sangue. In Ucraina abbiamo italiani che combattono su entrambi i fronti. Alcuni apparentemente filo-russi altri fascisti. Come se si ritornasse a giocare la seconda guerra mondiale, sullo stesso fronte. Che è un atroce scenario. In secondo luogo se riflettiamo a fondo su questi aspetti ci rendiamo conto di quanto idiota sia la posizione di chi dice che bisogna rafforzare i confini. Come se il problema arrivasse da fuori. Questo è un male del tempo della globalizzazione in cui il dentro e il fuori non hanno più senso. E poi c'è il fondo dell'abisso. Questo orrore più lo guardiamo più ci sono riflessi che parlano di noi. Di cosa parla? Dell'odio spietato che si genera nelle pieghe del nostro mondo e forse anche del nostro vuoto. Abbiamo poche parole per contrastare quello che succede. E dall'altra parte quelli che ci uccidono lo fanno disprezzandoci con l'idea di una loro superiorità, perché loro credono e noi no. Questa è l'immagine che danno. Di un pieno di fede loro e di un vuoto di fede nostra. Una follia. Non c'è nulla di più lontano di una qualsiasi fede dell'atto di ammazzare inermi. È la peggior bestemmia a Dio.

La reazione è stata quella di alzare i grandi vessilli della libertà, democrazia e giustizia. Ma sembrano ormai vuoti e sbiaditi. L'Occidente è ancora in grado di reggere l'onere della libertà?

L'ultimo brandello di bandiera che noi possiamo innalzare è che noi non vogliamo essere come loro. Quello intorno a cui si sta raccogliendo la Francia: noi vogliamo essere liberi e difendere la nostra libertà. Ma abbiamo un'enorme difficoltà a riempirla di contenuti questa libertà. Libertà di che cosa? O da che cosa? Nel trionfo dell'individualismo è una libertà privata quella che difendiamo. Una libertà che spesso convive con enormi indifferenze nei confronti dell'ingiustizia che ci cresce intorno. Una libertà astratta che non ha ricadute concrete nella pratica quotidiana. Ed è questo l'elemento su cui il nemico di questa libertà fa presa per arrogarsi il diritto di fare giustizia. Dobbiamo cominciare a porci il problema di come riempiamo il concetto delle nostre parole. Su questo siamo andati indietro. Offriamo uno spettacolo misero a chi sta fuori dal nostro cerchio magico del benessere. Ed è sempre di più quella dell'Occidente una libertà che convive con un mondo ridotto alla dimensione dell'utile e del denaro. L'altra nostra bandiera è quella: il denaro. L'unico codice con cui immaginiamo di regolare le relazioni è l'economia.

C'è anche un altro totem. Quella della legge e della legalità. Come se un assassinio debba essere impensabile perché illegale e non perché sbagliato di per sé... 

Esuliamo dal nostro campo. Ma il messaggio del Pm lanciato nel processo Eternit, quando chiese l'assoluzione degli imputati dicendo che il diritto si separa dal concetto di giustizia e i giudici servono il diritto e non la giustizia, ha messo il dito proprio su questo vuoto. Un sistema di relazioni di uomini improntato solo al formalismo della norma e indifferente ai valori ci conduce dritto dentro a paradossi che generano nichilismo.

C'è chi nel mondo cattolico immagina che, proprio a fronte di questo scivolamento nichilista, l'unica risposta plausibile ad un'aggressione di una fede così forte sia una fede opposta e contraria ancora più forte. Ma non è una negazione stessa del concetto di fede?

Sono d'accordo. Non credo che quella di questi terroristi sia fede. È un'ideologia islamica. È blasfemia, anche della loro religione ed è una bestemmia contro il loro Dio. Se li seguissimo su quella strada saremmo altrettanto blasfemi. In particolare nel caso del Cristianesimo che è religione di amore e pace. Faremmo ideologia cristiana. Si diventerebbe apostati

Ci addentriamo in un ambito difficile. Ma se è come dice Lei, ne consegue che la Verità, con la V maiuscola, è debole perché non può essere affermata con la forza, ed è quindi destinata a perdere inesorabilmente...

La verità è sempre stata ostaggio delle armi e della violenza. Sul breve periodo è sempre stata debole. Ma è anche sempre fortissima sul lungo periodo. Chi è cristiano sa che Cristo è morto in croce per diventare eterno. L'idea che la verità debba essere affermata con la spada è un'idea che fa a pezzi prima di tutto proprio la verità. La verità è un'operazione terribilmente difficile. Tant'è vero che quasi tutti quelli che hanno voluto testimoniarla si sono offerti in sacrificio in qualche modo. Pensare ad una verità che trionfa grazie alla potenza io credo che sia la peggiore forma di relativismo. Perché la potenza è relativa. Ci sarà, prima o poi, una potenza più potente.

Lei sta ricalcando in qualche modo quello che ha detto, in occasione della santificazione di Romero, Papa Bergoglio. Nel suo discorso il Pontefice infatti ha detto che il solo modo che ha un vescovo per essere madre del proprio gregge è il martirio. Per tornare al discorso sulla verità dunque, il solo modo di affermarla è il martirio? Non è terribile?

È terribile, certamente. Ma credo che Francesco abbia riaffermato un dato di fatto della Chiesa delle origini. Non solo. È anche un fatto tout court. È terribile ma nella condizione umana, e noi siamo in una condizione totalmente umana, purtroppo è così.



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