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LA PANDEMIA IN AMERICA LATINA / RISCHIANO SOPRATTUTTO I SETTORI SOCIALI PIÙ VULNERABILI

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Prosegue la diffusione del Covid-19 in America latina, con un incremento costante dei casi, secondo i dati ufficiali, peraltro sempre da verificare: in una decina di giorni, infatti, i contagiati accertati sono passati da 23mila a oltre 60mila, e i morti da 600 a oltre 3.000. Il Brasile concentra un terzo dei malati (23.723) e metà dei decessi (1.335), seguito dal Perù con 9.784 (e 216 decessi), dall’Ecuador con 7.529 (e 355 morti), dal Cile, con 7.525 (ma soli 82 morti), dal Messico con 5.014 (e 332 morti), dal piccolo Panama con 3.472 (e 94 morti), dalla Repubblica Dominicana con 3.167 (e 177 morti), dalla Colombia con 2.852 (e 112 morti), dall’Argentina con 2.277 casi (e 98 decessi), mentre gli altri paesi – cominciando da Cuba – contano tutti meno di 800 casi e 30 morti.

I maggiori focolai del contagio sono stati finora la megalopoli brasiliana di São Paulo, dove si contano 8.000 casi e oltre 500 morti, e la ricca città costiera di Guayaquil, in Ecuador, dove le strutture sanitarie si sono rapidamente saturate. Ciò ha portato a un tracollo della popolarità dei presidenti dei due Stati, l’ecuadoregno Lenin Moreno, il cui consenso era già stato duramente intaccato dalle proteste contro le misure di austerità varate in ottobre dal suo governo, e il brasiliano Jair Bolsonaro, la cui minimizzazione della pandemia lo ha portato non solo a scontrarsi col ministro della Sanità, Luis Henrique Mandetta, fautore di rigide misure di isolamento sociale, ma a dover rinunciare a imporne le dimissioni per l’intervento del ministro della Casa Civil e vero “uomo forte” dell’esecutivo, il generale Walter Braga Netto. In altri due paesi l’emergenza Covid-19 ha avuto importanti conseguenze politiche: in Colombia l’Eln (Esercito di liberazione nazionale), formazione guerrigliera di matrice guevarista, ha dichiarato una tregua unilaterale, mentre l’amministrazione Trump ha inviato alcune navi da guerra di fronte alle coste del Venezuela nell’intento di contrastare il traffico di cocaina che, secondo Washington, sarebbe gestito dal presidente venezuelano Nicolas Maduro, il quale starebbe approfittando della crisi sanitaria per intensificarlo. Gli Stati Uniti hanno invece respinto la richiesta di togliere le sanzioni contro Caracas, che si è vista anche rifiutare un prestito di 5 miliardi di dollari sollecitato al Fmi (Fondo monetario internazionale) far fronte alla pandemia.  

Intanto le Chiese cattoliche dei diversi Stati si sono adeguate alle disposizioni delle autorità, in alcuni casi anche facendo appelli propri ed ecumenici, con altre Chiese cristiane – come in Ecuador la Conferenza episcopale e la Chiesa evangelica luterana – a restare a casa e introducendo limiti via via più rigidi alle iniziative ecclesiali e alle celebrazioni liturgiche (per es. distribuendo la comunione solo in mano – con qualche protesta dei tradizionalisti – o sopprimendo lo scambio di pace), fino alla sospensione delle attività formative, delle processioni e liturgie eucaristiche pubbliche. Al contempo hanno messo a disposizione delle autorità sanitarie le proprie strutture, richiamando costantemente i governi a prendersi cura dei settori sociali più deboli, come i detenuti, una trentina dei quali sono rimasti uccisi in rivolte scoppiate nelle carceri della Colombia, e gli indios, dei quali mons. Roque Paloschi, arcivescovo brasiliano di Porto Velho e presidente del Cimi (Consiglio indigenista missionario), ha chiesto al governo di “rispettare la volontà di vivere senza contatti”. Intanto l’Università cattolica argentina ha pubblicato un rapporto in cui mostra come l’emergenza sanitaria faccia sì che “le condizioni di vita dei ceti medio-bassi e del settore informale dell’economia si deteriorino ulteriormente, per cui non solo ci sono nuovi poveri, ma quelli cronici lo sono ancora di più”.



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