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BRESCIA / FESTIVAL DELLA PACE E DEMOCRAZIA NONVIOLENTA

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“Ordinamento democratico e politica della convivenza pacifica”: questo il titolo di uno degli appuntamenti del II Festival della Pace di Brescia (9-24 novembre 2018), che ha consentito di affrontare possibili declinazioni di pace e nonviolenza insieme a Paolo Corsini (già docente di Storia all’Università di Parma), Adriano Zamperini (docente di Psicologia della violenza, Psicologia del disagio sociale e Relazioni interpersonali all’Università di Padova), Zouir Louassini (giornalista e scrittore) e Luigi Bonanate (docente di relazioni internazionali all’Università di Torino).

Intenso e non banale, l’incontro ha indagato, tra le molte cose affrontate, la possibilità che un ordinamento democratico possa essere un’istituzione nonviolenta. La riflessione ha riguardato inevitabilmente la distribuzione del potere, non tanto nel senso classico che vede distinti i tre poteri dello Stato – legislativo, esecutivo e giudiziario –, quanto tra chi ha tanto e chi ha poco potere.

La democrazia è nonviolenta, ha sottolineato Zamperini, se mette al bando forme di potere “sregolato”

Come si esercita infatti la democrazia se non attraverso il conflitto? Attraverso la possibilità che istanze diverse trovino espressione e cerchino di affermarsi?

E un approccio nonviolento non consiste anch’esso nell’affrontare e attraversare il conflitto, assumendolo senza che degeneri nella sopraffazione dell’altro?

Ecco allora che uno snodo importante riguarda chi indossa una divisa, chi è garante della convivenza, e non può/non deve decidere arbitrariamente a suo piacimento. Uno Stato democratico non può dirsi innocente di fronte ai propri abusi e deve regolare in maniera trasparente e con dispositivi di verifica chi è dotato di maggior potere, in quanto aspetti fondamentali della nostra democrazia.

La recentissima brutta legge sulla tortura (che in Italia esiste solo dal 2017 ed è difforme dalla Convenzione Onu su tale materia), il mancato codice identificativo degli agenti di polizia, i vari depistaggi a fronte di fatti terribili, come il caso – purtroppo non isolato – di Stefano Cucchi o gli abusi commessi a Genova nel 2001 durante le manifestazioni contro il G8, sono pericolosi campanelli d’allarme e non dovrebbero essere ambiti da cui distogliere lo sguardo.



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