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Un altro modo di fare missione: ascoltare!

Un altro modo di fare missione: ascoltare!

Quando mi è stato chiesto di partecipare a questo progetto sono rimasto molto entusiasta di questa proposta che ho ritenuto “innovativa” rispetto alle normali prassi che si seguono per incontrare i giovani della mia età. Di solito come Chiesa ci rivolgiamo sempre al mondo e ai giovani attraverso conferenze, incontri, campi di lavoro, esperienze di missione, numerose occasioni per donare il proprio tempo attraverso la carità e l’attenzione verso i più poveri… tutte attività bellissime che mostrano il volto di una Chiesa in uscita che ha tanto da proporre e da portare avanti, eppure questo che mi è stato proposto è davvero una cosa che non avevo mai sentito prima: incontriamo i giovani dando loro la parola! E soprattutto come? Attraverso altri giovani come noi!

Una cosa incredibile… fuori dagli schemi consueti, fuori da ogni forma di gerarchia, fuori dalla pretesa di incontrare i giovani per insegnargli qualcosa, un progetto che ha la capacità di dire: “You are OK!”, “Tu vai bene! Parla ti ascolto! Voglio sapere chi sei e cosa pensi”.

Quest’esperienza delle “interviste al mondo giovanile” che mi è stata proposta dalla Pastorale Universitaria di Parma mi ha davvero affascinato e ha superato tutte le mie aspettative: eravamo 30 giovani di diverse nazionalità e appartenenze religiose e a ciascuno di noi è stato chiesto di intervistare altri 10 giovani come noi, senza tener conto del credo o del paese di provenienza, soltanto l’importante è che ciascun partecipante avesse un’età compresa tra i 19 e i 29 anni.

Per me si è trattato di vivere la dimensione missionaria sotto l’aspetto dell’ascolto e dell’incontro con l’altro. Ho percepito una sete da parte dei giovani che ho incontrato di sentirsi ascoltati. Non è stato difficile trovare le persone, credo, proprio perché in ciascuno di noi c’è questa sete di qualcuno che ascolti cosa abbiamo da dire al mondo e sul mondo.

Nella nostra società, che segue ritmi frenetici e un’ansia morbosa di raggiungere traguardi imposti da un sistema di consumo – di cui però nessuno è in grado trovare un senso a quello che la società gli impone – sembra che ciò di cui tutti abbiamo bisogno è la capacità di incontrarci con un altro come me. Un altro come me che sogna, lotta e spera per il proprio futuro e per quello degli altri. Un altro come me che ha una storia di gioie e di dolori, ma una storia unica che più che giudicare siamo chiamati a condividere e ascoltare.

I GIOVANI E IL MONDO

La prima parte dell’intervista riguardava il rapporto dei giovani con il mondo e in questa fase ciò che mi ha colpito di più è stato il desiderio presente in quasi tutti di formare una famiglia, la maggioranza si pone quest’obiettivo che parte da un’esperienza positiva della propria famiglia, mentre altri che hanno manifestato alcune riserve su questo, ho notato che presentavano anche alcune difficoltà riguardo alla propria realtà familiare.

Un altro aspetto toccato è stato quello del rapporto con la politica: alcuni hanno affermato che si tratta di un servizio per il bene comune della società, mentre altri hanno espresso un totale disinteresse animato da una delusione seminata in questi ultimi anni di politica e quindi una conseguente delusione nelle istituzioni.

In questa prima fase erano anche presenti due immagini che rappresentavano il mondo adulto e quello giovanile, ho chiesto alle persone incontrate di dirmi in quale delle due si collocavano e anche in questo caso le risposte sono state differenziate: chi ha manifestato una resistenza verso la vita adulta, comportando responsabilità e impegni concreti che richiedono una certa stabilità e chi invece si sente adulto ma allo stesso tempo giovane cercando di integrare entrambe le realtà nella propria vita.

I GIOVANI E LA SPIRITUALITÀ

Una seconda fase dell’inchiesta consisteva nel rapporto dei giovani con la spiritualità. Tra coloro che ho intervistato la maggioranza si definiva cristiana e ha affermato di aver ricevuto la propria fede a partire dal proprio ambiente familiare, anche se non in tutti i casi! Altri invece si sono definiti “diversamente credenti”, cioè non si identificano con una religione particolare ma credono nell’esistenza di “qualcos’altro”, “una presenza”, “un Essere” che guidi tutte le cose o che sia presente in tutto ciò che ci circonda. Infine mi è capitato di conoscere anche una ragazza tunisina, musulmana. Prima di incontrarla immaginavo che portasse il velo e invece quando ci siamo visti non avrei mai pensato minimamente che lei fosse tunisina e tanto meno musulmana. Per di più, quando le ho offerto una birra per vivere più a nostro agio quest’incontro non ha esitato ad accettare!

Sicuramente questo mi ha insegnato a non giudicare dalle apparenze, a non mettere delle etichette e allo stesso tempo anche a non chiudersi nelle percentuali e nella raccolta dei risultati. Mi dispiacerebbe se questo progetto si riducesse soltanto ad una raccolta di dati statistici sul mondo giovanile,

credo che una cosa che la Chiesa debba imparare da quest’esperienza sia proprio quella di considerare ciascun uomo e ciascuna donna che incontra come una persona unica da incontrare e accompagnare rispettando la propria unicità.

I GIOVANI E LA CHIESA

La terza parte, invece, era dedicata al rapporto dei giovani con la Chiesa. Qui voglio sottolineare soprattutto due elementi che sono emersi da diversi giovani intervistati: mi ha colpito che sia credenti che “diversamente credenti” alla domanda “Cosa dovrebbe fare la Chiesa per parlare di più ai giovani?” hanno risposto quasi all’unanimità: “Dovrebbe essere più radicale!”. Mi colpisce perché quello che emerge da questa ricerca è che non ci viene chiesto di essere attuali, di inventarci modi strambi per arrivare ai giovani, di inventarci “cristoteche” o “aperitivi cristiani” per essere più vicini al mondo giovanile. Forse queste sono occasioni importanti ma

quello che ci viene chiesto è di non conformarci alla mentalità del mondo, di non essere un negozio tra tanti che la nostra società propone, ma di vivere radicalmente l’amore insegnato dal Vangelo, testimoniando la fraternità universale!

La seconda cosa che mi ha colpito, sempre in questa sezione dell’intervista, è stato che molti mi hanno fatto notare che forse come Chiesa non ci interroghiamo abbastanza su ciò che stiamo proponendo al mondo e ai giovani e se quello che proponiamo sia qualcosa che possa effettivamente interessare il mondo e i giovani di oggi! Cioè a volte, forse, seguiamo degli schemi a cui siamo talmente abituati che hanno perso il loro contenuto originario: facciamo la GMG, ma perché la facciamo? Facciamo la missione universitaria, ma perché la facciamo? Facciamo l’aperitivo con il missionario, ma perché lo facciamo? Forse non ci interroghiamo troppo poco sul senso delle nostre attività e su ciò che vogliamo trasmettere attraverso di esse? Magari ponendoci queste domande concentreremmo tutte le nostre forse nell’unico obiettivo che la Chiesa si propone da quando è nata: far conoscere la misericordia e l’amore di Dio a tutti gli uomini! E ci sono tanti modi per incarnare questa missione, non può esserci una sola modalità, una sola strada che vada bene per tutti gli uomini e le donne che la Chiesa è chiamata ad incontrare, ma

la Chiesa è chiamata ad accompagnare ciascuno a trovare la propria strada per sperimentare l’amore e la misericordia di Dio.

I GIOVANI E IL SENSO DELLA VITA

Infine l’ultima parte dell’intervista riguardava le domande di senso: cos’è la felicità? Cosa dà senso alla vita? ecc… in questa sezione sottolineo soltanto la risposta alla domanda: “Hai un obiettivo nella vita?”, molti, anche quelli che lavorano o hanno una carriera avviata hanno fatto fatica a dire un obiettivo a lungo termine, soltanto “piccoli desideri” da realizzare giorno per giorno…

Mi chiedo allora se come Chiesa non possa essere questo un terreno da battere con noi giovani? Cosa c’è di più bello di aprirsi a qualcuno, percorrere un pezzo di strada insieme ed insieme imparare a sognare?


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Pubblicato
06 Luglio 2018
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