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Ogni parola che non impari oggi…

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Elementari, medie, superiori. Così era quando stavo tra i banchi di scuola. Qui in Mozambico, invece, ci sono due livelli: la scuola primaria (dalla 1ª alla 7ª) e la scuola secondaria (dalla 8ª alla 12ª). La nostra è una scuola secondaria di tipo comunitario. Concretamente: lo stato paga lo stipendio ai professori e noi facciamo il resto: costruzione (venti anni fa), manutenzione delle strutture, gessi, biblioteca e libri, computer, zappe (c’è anche lezione di tecniche agricole), risme di fogli, fotocopiatrice, scope, lampade, registri di classe, aggraffatori. Ma, soprattutto, imprescindibile è il camice bianco per i professori.

Ebbene sì, manco fossero tutti infermieri, il camice bianco è una disposizione obbligatoria per tutti gli insegnanti. In un paese dove il tasso di analfabetismo nelle aree rurali è del 50,7% (ma sale al 62,4% per le donne); in un sistema scolastico nel quale il rapporto professore-alunni è di 1 a 64 e nel quale il 38,6% dei bambini e ragazzi tra i 6 e 17 anni non va a scuola, ogni mattina la lezione non comincia senza che il professore vesta orgogliosamente il suo camice bianco. Status symbol e dress code, in questo caso, coincidono perfettamente.

Nell’anno scolastico 2019, nella nostra scuola comunitaria in mezzo alla savana, hanno studiato 855 alunni. Le dieci aule non sono sufficienti per tutti. Così, i più piccoli studiano al mattino, i più grandi al pomeriggio, mentre il corso notturno è frequentato dagli adulti. Ogni giorno, da lunedì a venerdì, la prima campanella suona alle 6.45 e l’ultima alle 22.30. Qualche mese fa, abbiamo acquistato quindici computer di seconda mano provenienti dal Sudafrica ed è nata la sala di informatica. Non sarà come New York, ma qui a Chemba, tra capre e baobab, una sala di informatica è già una mezza rivoluzione.

Da quattro anni, ogni lunedì, faccio lezione agli studenti della 10ª classe. Da allora mi dibatto con i problemi del sistema educativo mozambicano. Dopo dieci anni di scuola, molti hanno difficoltà serie di lettura, scrittura e comprensione. È un problema strutturale e sistemico che dipende da molti fattori: la qualità pessima della formazione dei professori, il rapporto sproporzionato professore-alunno, la scarsa assiduità degli alunni, la distanza dalla scuola (alcuni percorrono a piedi ogni giorno 15 chilometri ad andare e altrettanti ai tornare), l’impiego dei bambini nel lavoro dei campi, i preconcetti culturali per i quali è un disvalore che le ragazzine studino.

È un problema generale e non spetta a noi risolverlo, però possiamo affrontarlo. Qui a Chemba possiamo conoscere la realtà con i suoi numeri e dati. “Faremo, allora una ricerca statistica”. Detto e fatto, abbiamo elaborato un questionario e due test da sottoporre ai 200 alunni entrati nell’8ª classe. Solo il 2%, nella loro vita, ha letto un libro che non sia quello scolastico. Il 30,4% non sa leggere né comprendere un testo. E che fare, allora? Da maggio a novembre abbiamo organizzato per loro un corso di alfabetizzazione gratuito. Due pomeriggi a settimana nel quale, letteralmente, si è partiti dalla lettera “A”.
Alla fine, anche per i figli dei contadini di qua, vale quanto diceva don Lorenzo Milani ai suoi ragazzi di Barbiana: “Ogni parola che non impari oggi, è un calcio nel sedere domani”.



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