Messaggio dalle chiese: Armenia, ricchezza da non perdere
L'arcivescovo Nechan Karakéhéyan racconta la complessa realtà degli armeni cattolici oggi.
Sotto l'Unione Sovietica i nostri settantuno sacerdoti sono stati uccisi, spediti in Siberia o in esilio. L'ultimo è morto nel 1975. Le ottanta chiese e cappelle ci sono state confiscate. Nel 1991 siamo ripartiti da zero, con un sacerdote inviato dalla Santa Sede che non ha trovato più niente. Per i sacramenti, gli armeni cattolici erano andati dagli armeni apostolici o anche dai cattolici latini. Le nostre comunità erano tutte disperse. Nel luglio del 1991 il Papa ha nominato il primo ordinario per gli armeni cattolici dell'Europa orientale, Nerses Der Nersessian. Così abbiamo cominciato a ricostruire partendo dal nulla. La visita di Giovanni Paolo II nel 2001 ha fatto conoscere a tutti la nostra comunità e ha mostrato che cos'è la cattolicità: nei Paesi comunisti il centro della terra era Mosca e si ignorava che cosa fosse veramente la chiesa cattolica.
Oggi in Armenia ci sono quattro sacerdoti, in Georgia cinque e due sono a Mosca. Hanno iniziato a fare apostolato clandestinamente già durante il comunismo. Bisognerebbe avere al più presto altri sacerdoti per tutti gli armeni cattolici che vivono nei Paesi ex comunisti.
Il problema della dispersione è evidente. Per garantire le celebrazioni domenicali nelle parrocchie i pochi sacerdoti devono percorrere tanti chilometri: mancano i sacerdoti, mancano le vocazioni. Siamo in dodici - un vescovo e undici sacerdoti - per più di 400mila fedeli sparsi in un territorio grande quanto la vecchia Unione Sovietica.
Noi speriamo di poter essere sempre più utili alla nostra gente. Il futuro non può essere la diaspora che significa anche perdere cultura e tradizione. Nella cattolicità il rito armeno non può andare perduto.